La vicenda del ladro ucciso a Vaprio Tutto sul caso, dubbi compresi
«Mi sono svegliato di soprassalto perché avevo sentito dei rumori. E visto che non era la prima volta e non ne potevo più, e avevo paura anche per Giovanna, ho preso la pistola. Fuori dalla stanza da letto mi sono visto puntare una luce negli occhi e ho sparato. Poi sono uscito sul terrazzino, ho visto altri due che uscivano scavalcando e ho fatto fuoco 4 o 5 volte in aria. Ma non volevo ammazzarlo, non volevo, davvero. Mi dispiace per quel ragazzo». Sono le parole di Francesco Sicignano, 65enne pensionato originario di Terracina (Latina) e residente a Vaprio d’Adda, piccolo Comune di 9mila abitanti in provincia di Milano (35 km dal capoluogo lombardo) e alle porte della Bergamasca. Sono le parole che l’uomo ha riferito agli inquirenti la mattina del 20 ottobre, poche ore dopo aver ucciso con un colpo di pistola dritto al cuore un albanese di 22 anni che si era intrufolato nella sua abitazione.
[I Carabinieri fuori dalla villetta dei Sicignano (ph. Alberto Mariani)]
L’esasperazione. Sicignano vive in via Cagnola, quartiere residenziale fuori dal centro di Vaprio. Una zona di villette, tra cui quella della famiglia del pensionato: una trifamiliare di tre piani, in cui l’uomo vive insieme alla moglie, al figlio, alla nuora e ai due nipoti. Una villetta frutto di anni di lavoro e ristrutturata diverso tempo fa: inizialmente era di due piani, ma quando il figlio si è sposato e ha avuto dei figli, Francesco ha pensato di aggiungere un piano e tenere unita la famiglia. Oggi, dietro alla villetta, sale una scala in acciaio che dà accesso ai tre appartamenti, e un ballatoio permette di avvicinarsi anche alle finestre più alte. Forse è per questo che i ladri, in quella strada isolata, hanno puntato quella costruzione. E la notte tra il 19 e il 20 ottobre non era la prima volta: da giugno a oggi sono stati ben 4 i furti subiti dalla famiglia. I Sicignano erano esasperati.
I fatti. Stando al racconto dell’uomo, intorno all’1.30 del 20 ottobre, mentre era a letto con la moglie Giovanna, dei rumori lo hanno svegliato. Visti i precedenti, il 65enne ha un porto d’armi e una calibro 38 sempre a portata di mano la notte, la stessa arma che ha deciso di impugnare per capire cosa stesse succedendo nella sua casa. Una volta aperta la porta della camera da letto, si è trovato davanti una sagoma «che aveva un arnese in mano» (si scoprirà poi essere una torcia accesa). Sicignano non ci ha pensato su e ha sparato. Poi altri rumori: la sagoma non era sola in casa. Altre due figure hanno iniziato a correre verso il balcone e a fuggire, mentre Sicignano li ha inseguiti, si è fermato sul ballatoio e ha sparato altri colpi in aria, urlando improperi nei loro confronti.
Pochi istanti prima, Martina, vicina di casa 20enne dei Sicignano, mentre rincasava aveva visto tre persone scavalcare il cancello dell’abitazione della famiglia. Entrata in casa aveva avvisato la madre e chiamato i Carabinieri. Un attimo dopo ha sentito gli spari.
[Sul posto anche la scientifica (ph. Alberto Mariani)]
L’accusa. Giunti sul posto, gli inquirenti hanno rinvenuto il corpo del ladro a terra, morto. Solo il 21 ottobre è stato possibile dare un'identità alla vittima: si tratta di un 22enne albanese (inizialmente si era parlato di un 28enne romeno), arrivato in Italia nel 2012 e con diversi precedenti penali alle spalle, tanto che nel 2013 era stato espulso dall'Italia. In realtà, però, non se n'è mai andato. Gli inquirenti sono riusciti a risalire alla sua identità dopo la denuncia di scomparsa presentata dalla fidanzata del 22enne. Gli investigatori, nel frattempo, stanno cercando di ricostruire i fatti. La Procura ha accusato Francesco Sicignano di eccesso colposo di legittima difesa e gli agenti l’hanno portato in commissariato per interrogarlo. È lì che il pensionato ha fornito la sua versione dei fatti ed è dopo averla ascoltata che l’accusa nei suoi confronti s’è trasformata in omicidio volontario. Una differenza rilevante, pesante. «Solo un espediente tecnico per avere un maggior margine di indagine», spiegano gli investigatori. Anche perché ci sono diverse cose che non tornano in questa brutta storia.
I dubbi. Gli inquirenti hanno appurato che il ladro, prima di entrare nell’abitazione della famiglia Sicignano, si era tolto le scarpe e messo i calzini sulle mani, probabilmente per fare meno rumore e, soprattutto, non lasciare impronte digitali. In mano, come detto, aveva una torcia, accesa. Nessuna arma, né pistola né coltello. L’assenza di un’arma porta automaticamente (o quasi) a escludere il reato di eccesso colposo di legittima difesa, perché l’articolo 52 del codice penale prevede una cosiddetta "causa di giustificazione" che rende non punibile chi abbia commesso un fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa. In questo caso, come in altri delle cronaca recente, la reazione sarebbe stata sproporzionata rispetto all’offesa, o alla possibile offesa.
Ma la discrepanza più grande tra il racconto di Sicignano e i fatti che hanno potuto, almeno fino ad ora, appurare gli inquirenti, è quella sul luogo in cui sarebbe avvenuta la sparatoria. Il pensionato giura che tutto è avvenuto appena fuori dalla sua stanza da letto, eppure il corpo del giovane ladro è stato ritrovato sulla scala esterna all’appartamento. Come ci è arrivato fino a lì? Si è trascinato da solo? Sicignano ipotizza che i due complici abbiano provato a portarlo via con loro, ma poi l’abbiano abbandonato lì nella fuga mentre lui li inseguiva. Un’ipotesi che non convince gli inquirenti, anche perché all’interno dell’abitazione non sarebbero state rivenute tracce di sangue e il ladro è stato ucciso con un colpo dritto al cuore, cosa che fa propendere per una morte istantanea. C’è dunque la possibilità che Sicignano, per paura ed esasperazione, abbia inseguito fin sulle scale il ladro aprendo poi il fuoco e mirando al petto. Una differenza non da poco.
[Ph. Alberto Mariani]
Chi è Sicignano. Gli inquirenti, inoltre, stanno cercando di capire che tipo sia Francesco Sicignano. Descritto dai vicini di casa e dai familiari come una persona a modo e gran lavoratore, nel suo passato non c’è nulla che porti a pensare a una persona violenta o irosa. Repubblica lo descrive come un uomo che «ha aperto e chiuso una mezza dozzina di imprese di costruzioni tra Milano, la Brianza e Vaprio, dove era venuto ad abitare all’inizio degli anni Settanta, che ha gestito negozi di elettrodomestici e strumenti musicali in paese e ha remoti e piccolissimi precedenti di natura finanziaria, nessun reato di sangue». Il Corriere, invece, lascia più dubbi sulla figura di Sicignano: «È andato in pensione dopo decenni di lavoro nell’edilizia (vendite e ristrutturazioni), la presenza in una quindicina di società, per lo più immobiliari, nel tempo aperte e chiuse, almeno sei fallite»; ma soprattutto: «La pistola è legalmente detenuta con un’autorizzazione che risale al 1994; ma l’uomo che ieri ha sparato avrebbe però un precedente, vecchio e per un reato piuttosto grave, e dunque anche questo aspetto andrà chiarito nell’inchiesta».
Il corteo. Certamente non è difficile capire da che parte stia la gente. In via Cagnola, dove i furti in appartamento sono purtroppo diventati frequenti, il coro dei vicini è unanime: «Ha fatto bene». La gente ha paura: «Poteva capitare a ognuno di noi... Abbiamo le inferriate dappertutto per sentirci almeno un po’ sicuri» raccontano i residenti. Alle 18.30 del 20 ottobre, tanti si sono dati appuntamento nella piazza della chiesa per un corteo di solidarietà nei confronti di Sicignano. A capeggiare la “sfilata” Riccardo De Corato, ex vicesindaco di Milano, e Carlo Fidanza, entrambi di Fratelli d’Italia. Il corteo è arrivato, tra cori e tricolori sbandierati, sin sotto la villetta dove, da tutto il giorno, si era auto-reclusa la famiglia Sicignano. Lì la gente ha iniziato a cantare l’Inno di Mameli. A quel punto il 65enne è apparso sul balcone, visibilmente imbarazzato. Ha sorriso e salutato, poi è rientrato in casa.
[Il video del corteo realizzato da Treviglio TV]
Le reazioni. La prima reazione, e anche quella più attesa dai media, è stata di Matteo Salvini, leader della Lega 2.0, che ha messo la sicurezza e il diritto di difendere la propria abitazione, anche a costo di sparare, tra i principali argomenti del proprio programma. Su Facebook il leader del Carroccio ha scritto: «Secondo i Carabinieri, un immigrato di 28 anni (quella era la prima notizia che era stata data, ndr), entrato in un appartamento a Vaprio d’Adda (Milano) per rubare, è morto per la reazione del pensionato aggredito, che si è difeso sparando. Il pensionato sarebbe indagato per eccesso di legittima difesa. Pazzesco: giù le mani da chi si difende! Se si trattava di un ladro morto sul lavoro, non mi dispiace più di tanto: se l’è andata a cercare». Il post di Salvini è stata la scintilla che ha scatenato il dibattito, con in primo piano altri esponenti della Lega. Su tutti Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia che, a giugno, ha approvato la costituzione di un fondo di 50mila euro per pagare le spese processuali ai cittadini lombardi accusati di eccesso di legittima difesa: «La Regione Lombardia si accollerà le spese di difesa del pensionato» ha assicurato il governatore. Peccato che l’accusa, nel frattempo, avesse cambiato il capo d’imputazione in omicidio volontario. Ciò renderebbe inutilizzabile, in questo caso, la legge regionale. Intervistato la mattina del 21 ottobre da Radio 24, Maroni nicchia e dichiara: «Attenderemo sviluppi».
Ma anche a Bergamo il fatto di cronaca sta facendo molto discutere. Il caso di Vaprio ricorda, per certi versi, il caso Monella, l’imprenditore di Arzago d’Adda che da oltre un anno è in carcere per aver ucciso con un colpo di fucile, nel 2006, Helvis Hoxa, un albanese di 19 anni che stava scappando con il suo Suv dal suo cortile di casa. Un caso diventato simbolo per la Lega, che da tempo combatte perché Monella ottenga la grazia dal Presidente della Repubblica. A confermare la vicinanza tra i due casi è Daniele Belotti, segretario provinciale del Carroccio: «Se abbiamo fatto un errore nel caso Monella è aver fatto silenzio, aspettando che la sentenza passasse in giudicato. Nessuno si poteva aspettare una condanna a un padre di famiglia. Sul caso di Vaprio ci muoveremo sin da subito. Concedere la grazia in questo momento a Monella sarebbe un segnale importante. Invece si va nella direzione opposta e si indagano le vere vittime: i cittadini onesti. Questo è legittimare il Far West. Si colpisce chi ha avuto come unico torto quello di difendere la propria casa, magari dopo 4 furti, come a Vaprio». Ma, sempre a Bergamo, c’è anche chi contesta l’uso di questi toni. Ad esempio Antonio Misiani, deputato del Partito Democratico: «La politicizzazione di queste tragedie è un grave errore. Spetta ai magistrati dire se c’è stata legittima difesa e le sentenze poi vanno rispettate. L’intromissione dei partiti danneggia solo le persone coinvolte. La Lega, invece, soffia sul fuoco alimentando le paure. C’è indubbiamente un problema di sicurezza. Ladri e delinquenti che violano le case hanno sempre torto, ma la repressione con l’esercizio della forza spetta ai rappresentanti dello Stato. Il fai da te in questo settore porta al Far West».
La chiosa migliore su questo baillame di parole e dichiarazioni, probabilmente, l’ha offerto Gramellini nel suo quotidiano “Buongiorno” su La Stampa: «Quello che è avvenuto dopo è desolante. Il silenzio della sinistra, intrappolata nelle sue astrazioni buoniste. Lo starnazzio della destra, che adesso cavalca la paura ma quando era al governo non si è mai ricordata di cambiare la legge sulla legittima difesa. E infine la trasformazione del pensionato in eroe popolare. Ieri sera si è affacciato al balcone per salutare la folla che lo acclamava. E questo, a differenza del colpo di pistola, è un gesto che faccio fatica a comprendere».