Dal proclama di Al Baghdadi a oggi

Vita, morte e regole nel Califfato Un anno dopo la sua nascita

Vita, morte e regole nel Califfato Un anno dopo la sua nascita
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Il 29 giugno potrebbe essere definito l’Isis day. Correva l’anno 2014, primo giorno di Ramadan, quando un barbuto signore con al polso un Rolex e in testa un turbante nero dichiarava al mondo la sua parentela con il profeta Maometto e proclamava il Califfato, che doveva estendersi dalla Siria all’Iraq ridefinendo i confini del mondo arabo. A capo di questo nuovo ordine mediorientale si mise lui, l’uomo che risponde al nome di Ibrahim Al Badri, ma che si fa chiamare Abu Bakr Al Baghdadi. Il raggiungimento del suo obiettivo di regnare su questo nuovo Medio Oriente, doveva necessariamente passare attraverso la lotta agli infedeli e quindi la guerra santa.

Le vittime, per lo più musulmane. Da allora di sangue ne è scorso molto, troppo. Sulle vittime complessive della furia jihadista non esistono cifre ufficiali ma si stima, al ribasso, che siano almeno 15mila; molti occidentali, tanti di religione cristiana; tantissimi, la maggior parte, musulmani. Un orrore senza fine, che coinvolge anche le compagini più vulnerabili della società. Negli ultimi 12 mesi si sono più volte succedute le notizie dei rapimenti di massa di bambini, per arruolarli tra le fila dei combattenti e come inconsapevoli kamikaze.

 

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Il carisma di Al Baghdadi. E tra ostaggi decapitati, attentati, assedi e battaglie, l’Isis (o Is, o Daesh) sembra essere sempre più forte e invincibile. Il carisma di Al Baghdadi, uomo avvolto nel mistero oltre che nel suo manto nero, sembra impossibile da scalfire e continua ad attrarre a sé combattenti da ogni parte del mondo. Dodici mesi dopo l’autoproclamazione, il suo creatore, il “Califfo di tutti i musulmani” è uno degli individui più ricercati, nonché meglio nascosti, del pianeta. Gli Stati Uniti offrono, infatti, 10 milioni di dollari per la sua cattura. Ma di lui nessuno sa nulla, nemmeno se sia vivo o no. In 365 giorni Al Baghdadi si è fatto sentire in un paio di registrazioni di dubbia autenticità. Una sola volta è apparso in video, quando ordina a tutti i “fedeli” di obbedire alla sua volontà.

Un anno di successi. In un anno il Califfato è diventato un’entità in grado di amministrare un territorio, con tanto di leggi che regolano la vita comune. Il 29 giugno 2014 il Califfato venne proclamato in seguito alla presa di Mosul. Un anno dopo, nonostante qualche sconfitta e nonostante i raid della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, gli jihadisti rimangono ben saldi nelle loro posizioni in Siria, dove controllano gran parte del territorio, sono sempre più presenti in Iraq, dove hanno messo le mani su Ramadi, e hanno esteso la loro influenza nel resto del mondo arabo-musulmano.

 

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L’ordinamento statale del Califfato. Un ordinamento, quello dello Stato Islamico, dove il furto è punito con l'amputazione di una mano, l'adulterio di un uomo gettandolo dall'alto di un edificio, di una donna con la lapidazione. Esecuzioni che avvengono in pubblico per intimidire la gente, obbligata ad assistere. Le donne possono uscire di casa solo se accompagnate da un familiare maschio e completamente coperte, compresi il viso e le mani. Possono mostrare solo l’occhio sinistro. La blasfemia è punita con la morte e se l’insulto è nei confronti del Profeta non esiste possibilità di redenzione. Stessa sorte per gli omosessuali. Va meglio, solo 80 frustate, a chi beve vino. Vietato anche vendere marchi contraffatti, perché si tratta di inganno prima di tutto nei confronti di Maometto.

Tutto passa dalle regole imposte. Ogni aspetto della vita quotidiana è regolato da regole precise negli stati dove a comandare sono gli emissari del Califfo. Si va dal divieto di utilizzare i prodotti della Apple all’apprendimento a memoria del Corano, passando per un sistema di welfare che comprende ministeri, uffici reclami, centri di assistenza familiare, affitti calmierati, paga certa per i combattenti, e moglie in omaggio per i più coraggiosi. A Raqqa, designata come capitale siriana del Califfato, è stata istituita una mensa a disposizione dei bisognosi e un ufficio per gli orfani che ha compito di trovar loro famiglia. Inoltre vengono asfaltate e sistemate le strade danneggiate dai combattimenti, e viene posto un tetto massimo ai profitti dei farmacisti così come ai costi per partorire. Attenzione anche nei confronti dell’ambiente: si può pescare ma senza ricorrere a esplosivi o a tossine chimiche, per evitare di compromettere la riproduzione e la conseguente successiva abbondanza di pesci.

 

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Il welfare del Califfo. Insomma, orrore e sangue per chi è infedele, ma uguaglianza sociale per chi accetta le loro regole. Il tutto ha un unico fine: aumentare il consenso popolare. Dopotutto per gestire un esercito di guerriglieri ribelli bisogna soddisfarli al meglio: i combattenti ricevono un salario mensile di 400 dollari più 100 se sono sposati e 50 in più per ogni figlio (questo vale per i combattenti iracheni e siriani); i combattenti stranieri invece ricevono uno stipendio tra i 700 ed i 1000 dollari in base all’istruzione che hanno. Le vedove di guerra ricevono una pensione di circa 300 dollari. I soldi per poter mantenere questo sistema sociale arrivano dal contrabbando di petrolio, che viene venduto dai 25 ai 60 dollari al barile (dove il costo istituzionale è di circa 100 dollari), che frutta allo Stato Islamico circa 3 milioni di dollari al giorno. A questo si aggiungono i proventi derivanti da furti, estorsioni, traffico di esseri umani e di oggetti dell’antichità magari provenienti dai vari siti archeologici occupati e, evidentemente, non distrutti. Altre entrate economiche derivano da una tassa religiosa (zakat) del 10 percento sul reddito istituita a Raqqa e dai Paesi sunniti donatori. Primo tra tutti il Qatar, che per l’Isis è diventato un vero e proprio bancomat.

Un apparato di informazione ben organizzato. Quello che caratterizza lo Stato Islamico, è anche l’apparato di informazione, che è ben strutturato e organizzato. Oltre ai gattini e ai vasetti di nutella postati sui social network dagli jihadisti, quel che ha sorpreso in questo anno è stata la potente capacità mediatica dell’apparato informativo del califfato. Una rivista, Dabiq, ben fatta, patinata, ordinata, graficamente curata. E una molteplicità di video con un uso sapiente degli elementi che compongono un video di qualità, dagli standard occidentali. Una strategia comunicativa sofisticata, che passa attraverso la nomina di un suo responsabile della comunicazione in ogni provincia conquistata. Una figura che serve non solo a diffondere messaggi istituzionali, ma anche ad adescare nuovi elementi, siano essi veri e propri combattenti o anche solo cyberjihadisti, cioè coloro che si occupano della gestione dei vari profili sui social network.

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