Verso la mostra in Gamec

Enea Salmeggia, il nostro Raffaello

Enea Salmeggia, il nostro Raffaello
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Ormai ci siamo. Nel weekend s’inaugura la grande mostra dedicata a Raffaello e a quello che la sua “venuta”, un po’ come il Messia, ha rilasciato tra seguaci, ammiratori, o artisti volutamente fattisi ispirare da uno dei geni del nostro Rinascimento.

Ad ogni città il suo Raffaello. In effetti, ogni grande città italiana, sia tra i propri riferimenti bibliografici che nel parlare comune, ha identificato un proprio Raffaello, cioè un grande artista che per disegno o tecnica o composizione o altro ancora rimandi al pittore marchigiano, prematuramente scomparso all’età di soli trentasette anni. La stessa Milano lo rivide nel giovane pittore Daniele Crespi (nato a Bursto Arsizio), sebbene nato nel Seicento e morto di peste nel 1630, di cui il nostro museo diocesano in via Pignolo conserva un’opera sublime.

Storia del Talpino. E così anche Bergamo, che, infatti, ha sempre considerato come “il nostro Raffaello” il pittore Enea Salmeggia detto il Talpino, artista nato e attivo per tutta la sua vita nel Borgo di San Leonardo. Della sua cerchia privata si conosce ben poco: resosi autonomo dal padre in giovane età, opera dapprima per la Basilica di Santa Maria Maggiore - prima prova importante nella sua città d'origine che incontrò il favore del Consiglio della Misericordia Maggiore - per poi perderne le tracce, forse per un presunto alunnato in terra lombarda e per un probabile, ma non certificato, soggiorno in ambiente romano.

Al rientro a Bergamo, inizialmente forse in qualità di collaboratore di Giovan Paolo Cavagna - il più accreditato maestro locale per quei tempi, più vecchio di qualche anno del giovane Talpino, poi suo acerrimo antagonista - impiantò una fiorentissima bottega e si divise tra commesse cittadine e provinciali, sacre e profane, nonché lombarde. Si sposò, ebbe diversi figli di cui tre ne seguirono le orme, per poi morire quasi tutti miseramente di peste del 1630.

I richiami raffaelleschi. Se fosse appurata la notizia del soggiorno romano di Enea, dato che non tutte le fonti la condividono, allora troverebbero giustificazione quei raffronti col maestro urbinate, riscontrabili nei modi leziosi di giocare con i panneggi, nella dolcezza profusa come ad accarezzare i volti - indistintamente maschili e femminili, giovani o canuti - il pathos forse un pochino troppo classico con cui inonda incarnati e sottolinea gli sguardi dei suoi protagonisti, così come quei coloriti tanto vicini alla tavolozza del giovane maestro, il cui eco, fresco del secolo, giunse anche a Bergamo. Ma come fu possibile tutto ciò, senza averlo mai ospitato nella nostra città? O, nell’eventualità, mai visionato dal vero? Beh, non era poi così complicato, se si pensa agli schizzi o ai disegni che sicuramente circolavano sul mercato, ambitissimi da coloro che di arte vivevano.

Le opere di chiara ispirazione. Proporre il parco opere di uno degli artisti più produttivi del nostro territorio, sostenuto dalla richiesta di opere ormai necessariamente controriformate, pare improprio in questa sede: considerando solo i dipinti di Enea se ne possono contare un centinaio oltre a quelli di chiara matrice salmeggesca realizzati dal figlio Francesco, dalla bottega e dai cugini, i Cesareo di Borgo Santa Caterina, sopravvissuti alla peste del 1630 e che del congiunto ne ereditarono buona parte della strumentazione artistica. Tuttavia se ne sono scelte alcune, che sicuramente possono far riflettere, grazie ai chiari raffronti con Raffaello, visibili a occhio nudo senza bisogno di laser o raggi x o di tutto quanto riguardi il campo delle indagini diagnostiche e non invasive. E così possiamo dire anche noi di avere un nostro Raffaello!

 

Diana e Callisto, 1615-1620, olio su tela, Bergamo, Fondazione Credito Bergamasco

 

Adorazione dei Magi, 1594-95, olio su tela, Bergamo, Basilica Santa Maria Maggiore

 

Madonna con Bambino e Santi, XVII secolo (I quarto), olio su tela, Bergamo, Museo Diocesano Adriano Bernareggi

 

Madonna in gloria col bambino tra i santi Rocco, Francesco e Sebastiano, 1615-1620, olio su tela, Milano, pinacoteca del Castello Sforzesco
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