Nel collegio di Mangalore

Il gesuita di Stezzano che affrescò la «Cappella Sistina d’India»

Il gesuita di Stezzano che affrescò la «Cappella Sistina d’India»
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Agli albori del secolo scorso, durante una giornata calda e umida come in India se ne vedono a milioni, tanto da far quasi sembrare che il tempo non dovesse trascorrere mai, Antonio Moscheni posò i pennelli e si volse ad osservare il frutto del suo lavoro: la decorazione della cappella di San Luigi era finalmente completata. I dipinti e gli affreschi che adornano ogni angolo dell’edificio, per i quali erano stati necessari più di due anni, furono acclamati per il loro splendore, tanto da scomodare, in epoca presente, anche paragoni illustri con il grande Michelangelo.

Arte e umiltà. Moscheni, tuttavia, si sarebbe fatto beffe di simili lodi. Il pittore bergamasco, infatti, nel corso della sua vita fece sempre sfoggio dell’umiltà tipica della sua terra d’origine, come dimostra il fatto che raramente firmava le proprie opere. Piuttosto che perseguire la gloria terrena, egli preferiva impegnarsi anima e corpo in ciò che più amava: dedicarsi all’arte e servire Dio. Forse, mentre era intento ad ammirare il suo capolavoro, quell’uomo eccezionale - artista per natura e missionario per vocazione - tornò con la mente a tempi e luoghi lontani, quando mai e poi mai avrebbe pensato che, un giorno, il suo talento l’avrebbe condotto fino in India.

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Infanzia e formazione. Era nato a Stezzano nel gennaio del 1854, ultimo di dieci figli di una famiglia che disponeva di maggiori risorse rispetto alla media, visto che la popolazione era composta in larga parte da contadini molto poveri. Scrive infatti Antonio Lam era nel libro Fra’ Antonio Moscheni. Pittore e fratello Gesuita stezzanese, pubblicato nel 2005 in occasione del centenario della morte: «La famiglia era benestante, avendo campi ed anche una cascina che prese il nome di Moscheni; inoltre il padre era segretario comunale e come tale aveva uno stipendio sicuro». Così, ad attendere il giovane Antonio una volta cresciuto, non vi fu il lavoro nei campi, ma il ginnasio e, successivamente, dopo aver dato prova del suo talento cristallino per le arti, l’ingresso all’Accademia Carrara. Riuscì ad emergere anche in questo ambiente, tanto da esporre le proprie opere a Milano e Torino, conquistando numerosi riconoscimenti.

Dalla pittura alla Compagnia di Gesù. Deciso a intraprendere la carriera di pittore, Moscheni si mise in viaggio verso Roma, l’ambiente ideale per un giovane desideroso di aprire la propria mente a l l’influenza degli straordinari artisti che lo hanno preceduto e, una volta tornato a Bergamo, inaugurò un periodo ricco di soddisfazioni professionali. Tuttavia, proprio nel momento in cui la sua strada si stava avviando verso il successo, Moscheni prese la decisione di abbandonare quel sentiero e di entrare nella Compagnia di Gesù. Il cambio di vita non segnò affatto l’esaurirsi della sua vena artistica, che anzi cominciò a splendere più luminosa che mai: «I suoi superiori apprezzarono la sua arte e gli diedero incarichi di dipingere parecchie chiese di collegi e case della Compagnia».

 

 

Fino all'India. Così l’artista iniziò il suo vagabondare dentro e fuori l’Italia; tra le tappe toccate dai suoi viaggi si contano anche l’Istria, la Dalmazia e l’Albania. Finché, nel 1899, si mise in cammino per il viaggio più importante, quello che l’avrebbe condotto in India, più precisamente a Mangalore (una città portuale che sorge lungo la costa meridionale del subcontinente), dove ad attenderlo, all’interno del collegio dei gesuiti, c’era la cappella di San Luigi. Moscheni infuse luce e colore alle sue mura realizzando uno straordinario ciclo pittorico in cui bellezza naturale e...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 23 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 11 gennaio. In versione digitale, qui.

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