Il suo ultimo libro, La strada nuova

L’arte di sognare di Simona Atzori che, senza braccia, insegna a vivere

L’arte di sognare di Simona Atzori che, senza braccia, insegna a vivere
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«Cosa ti manca per essere felice? A me niente». Una frase che fa sognare. A pronunciarla, frequentemente e con forza, è Simona Atzori: scrittrice, pittrice e ballerina di fama internazionale. Simona parla della sua vita con la sua sola presenza: sorriso luminoso, capelli lunghissimi e piedi usati come mani. Sì, Simona non ha le braccia. Ma ha avuto, forse più di altri, la determinazione e il coraggio di sognare. È stata la ballerina che ha aperto i Giochi Paraolimpici del 2006 e ha fondato una sua compagnia di danza, la “SimonArte Dance company”, che ha all’attivo diverse produzioni con i danzatori del Teatro alla Scala di Milano. I suoi quadri partecipano a mostre collettive in tutto il mondo. Ha scritto tre libri, tiene incontri motivazionali in tutta Italia e nel 2012 è stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana dal presidente Giorgio Napolitano.

 

 

Essere accolti. Simona nasce negli Anni Settanta a Milano e viene al mondo senza braccia. È accolta dai genitori con grande amore, abbracciata come un dono. Nelle sue interviste ne parla sempre: è questo amore che le ha permesso di vivere una vita normale, che appare straordinaria solo agli occhi degli altri. Sin da piccola ha due sogni: dipingere e ballare. La mamma la incoraggia semplicemente verso ciò che le piace, senza porre limiti a priori. Quali limiti? Ci sono tanti aneddoti significativi della vita di Simona che raccontano la sua “normalità”. Uno dei tanti risale al periodo all’infanzia. Simona ha quattro anni e deve iniziare ad andare all’asilo. La superiora dell’istituto, preoccupata e forse un po’ spaventata dalla sua particolarità, vincola la possibilità di tenere la bambina a un’attenta valutazione. È il primo giorno di scuola e viene chiesto ai bambini di disegnare. Simona, che già ha scoperto la sua grande passione per la pittura, fa un disegno con le sue “mani più in basso”, poi lo mette tra la spalla e il collo e lo porta come regalo alla superiora. A pranzo mangia autonomamente con i suoi piedi. Allo stesso tavolo di Simona c’è un bambino che si lamenta continuamente del cibo. Simona, spazientita, decide di imboccarlo, con naturalezza. «Avrei potuto imboccare anche la superiora: era a bocca aperta per lo stupore», racconta Simona. «Ho imparato che spesso i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda». Di difficoltà, sicuramente, ce ne sono state tante: «Qualcuno ha creduto in me, ma tanti non lo hanno fatto e mi hanno sbattuto la porta in faccia. Dicevano: “Senza braccia non potrai mai disegnare, non potrai mai ballare”. Ho capito che solo io potevo scegliere il tipo di vita che desideravo. E io volevo credere nei miei sogni».

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La danza della libertà. «Nella danza c’è tutto: il corpo, il cuore, la testa, le emozioni. Non c’è una parte di quello che hai dentro che viene esclusa. Su quel palco porti il vissuto tuo o del personaggio che interpreti, che sia felice o doloroso. E il pubblico ascolta». Simona parla del danzare come di una dimensione parallela in cui tutto si concentra. È stata sui palchi più prestigiosi di tutto il mondo e non solo. Tra quelli che ricorda con più affetto ce n’è uno speciale: un telo bianco steso per terra, niente luci particolari, niente vestiti vistosi. È in Kenya, in un carcere, in una dimensione e in una cultura a cui Simona non era abituata. E che un po’ la impauriva. Ma la sua danza si tè trasformata presto in una danza di libertà che ha coinvolto tutti i presenti, dando origine a un ballo collettivo. La libertà, dentro un carcere, portata da una ballerina senza braccia.

 

 

Cosa ti manca per essere felice? «Siamo sempre concentrati su ciò che non abbiamo. Nella mia famiglia, invece, siamo stati costretti a guardare a ciò che avevamo. Prima di tutto avevamo la vita, che è un meraviglioso dono in cui non ho mai smesso di credere». È un dono anche quando le cose non vanno bene. L’ultimo libro di Simona nasce proprio dal dolore: dopo qualche anno dalla morte della madre, ha scoperto che il papà ha un tumore e si è separata dal compagno. Un dolore che è, però, occasione di nuove crescite e di nuove vie. La strada nuova è appunto il titolo del libro, edito a marzo 2018 da Giunti. Secondo Simona la felicità è soprattutto una scelta. La sua vita è sempre stata ricca di semplicità e condivisione: «Con quello che faccio non voglio dimostrare niente a nessuno. Mi racconto attraverso quello che mi piace, per cui ho talento». Come scrive Candido Cannavò nel libro E li chiamano disabili, «le braccia di Simona sono rimaste in cielo ma nessuno ha fatto tragedie».

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