Il Mose di Venezia, una vergogna costata finora 7 miliardi di euro

Sul sito del Mose (mosevenezia.eu) l’ultima notizia è datata 24 ottobre: si annunciava la prova di innalzamento delle paratie al varco di Malamocco. Sappiamo che per problemi tecnici alle cerniere quella prova non è stata possibile. Ma sul sito non se ne dà conto: le defaillances della grande macchina che dovrebbe mettere Venezia al riparo dalle maree distruttive come quella della notte di martedì, non sono solo tecniche, sono anche informative.
Il Mose (il nome non ha che vedere con il profeta ma è acronimo di Modulo sperimentale elettromeccanico) è un lungo sogno che nei 35 anni di storia si sta trasformando in incubo. Il primo annuncio venne fatto davanti a una platea internazionale ad Amburgo nel 1985. Erano i tempi di Bettino Craxi e di Gianni De Michelis, ministro degli Esteri e quasi nuovo doge veneziano. Non era un’idea nuova, perché già nel 1672 un ingegnere lagunare aveva proposto al doge di allora di alzare un muro ad archi alle bocche di porto, per far calare delle porte qualora il mare si rendesse pericoloso. Il Mose segue lo stesso obiettivo, imbrigliare le acque, ma sbucando dal basso, cioè dai fondali: schiere di paratoie mobili installate sul fondale delle bocche di porto. In tutto sono 78 più 8 di riserva. Tutte alte 20 metri e di lunghezza variabile che arriva anche a 30 metri. Le prime 21 sono state prodotte da una ditta di Pordenone. Le restanti invece da un’azienda di Spalato. Sono arrivate a destinazione via mare. Dal sito si evince che il 30 gennaio di quest’anno è stata posizionata l’ultima alla Barriera Lido San Nicolò, completando così un’operazione iniziata tre anni prima. Ciascuna paratoia se ne sta normalmente nel suo apposito cassone a livello fondale. Sostanzialmente sono grandi scatole metalliche che quando sono piene d’acqua, rimangono adagiate dentro la struttura di fondazione. Quando scatta l’emergenza viene espulsa l’acqua, immettendo aria compressa: allora la paratoia si solleva, ruotando attorno all’asse delle due cerniere che la collegano al cassone di alloggiamento e realizza la sua funzione di far da barriera al mare, proteggendo la Laguna. Infatti, come viene riferito sul sito, sfruttando la spinta di galleggiamento, le paratoie delle barriere, pur oscillando liberamente e indipendentemente per effetto del moto ondoso, sono in grado di mantenere il dislivello di marea tra laguna e mare.
Sono o dovrebbero esserlo, visto che questa gigantesca macchina che dovrebbe imbrigliare il mare non è mai stata veramente messa alla prova. Esistono dei modelli, elaborati dal Mit, ma il passaggio alla realtà, in situazioni di emergenza marea, non è ancora stato fatto. Eppure, come si è visto, ce ne sarebbe un grande bisogno.
Per ora quindi resta come un’ombra inquietante quell’aggettivo «sperimentale» che è nel nome stesso del Mose: come qualcosa che dopo 35 anni attende ancora di essere messo alla prova, e sulla cui efficacia non c’è sicurezza. Peccato che sia costato 7 miliardi di euro più un altro di opere connesse. Peccato che la sua storia ci dica che più che alle paratoie ci si sia preoccupati del potere e delle poltrone.