Le 4 diete più diffuse al mondo
Litigare con la bilancia non è mai una sensazione piacevole. Sottoporsi a regimi alimentari più o meno restrittivi implica, se non altro, almeno per gli amanti del cibo e della buona tavola, uno sforzo in termini di volontà e costanza non indifferente. Posto che è sempre bene affidarsi ad un esperto (il dietista, ha studiato tanto per diventarlo, andate sul sicuro) o, se proprio volete prediligere soluzioni fai-da-te, utilizzare un po’ di buonsenso, forse vi interesserà sapere quali sono le quattro metodologie predilette dagli abitanti di questo mondo per rientrare nel loro peso forma. A studiare con accuratezza il poker preferito del dimagrimento sono stati il Jewish General Hospital e la McGill University, che sono giunti a un risultato davanti al quale non resta che allargare le braccia: in qualsiasi caso i risultati sono piuttosto modesti, e comunque sempre uguali. Cerchiamo lo stesso di capirci qualcosa.
1) La dieta Atkins. Il cardiologo americano Roberto C. Atkins la ideò negli anni Settanta, per prevenire e tenere sotto controllo il diabete mellito. Amata dalle star hollywoodiane Jennifer Aniston e Renee Zellweger, dopo aver raccolto critiche e consensi negli Usa, è da qualche anno sbarcata anche in Europa e Italia, dove ha suscitato scalpore.
Si tratta di un regime alimentare a basso tenore glucidico (ovvero, carboidrati eliminati quasi del tutto), che soddisfa la richiesta energetica del corpo attraverso grassi e proteine. Sostanzialmente, una tragedia per chi mangia seguendo le regole della dieta mediterranea.
La Atkins punta a mantenere costanti i livelli di insulina, trasformando l’organismo in una sorta di macchina brucia-grassi. L’assunzione di grassi e proteine aumenta infatti il senso di sazietà, accresce (grazie alle proteine) il dispendio energetico quotidiano, stimola la produzione di ormoni anabolici, che favoriscono l’aumento di massa muscolare, e dunque alzano il metabolismo basale.
Praticamente, le fasi sono quattro: induzione (due settimane con massimo 20 grammi di carboidrati al giorno, per intenderci), perdita di peso, pre-mantenimento (i carboidrati totali settimanali rimangono comunque 500 grammi), mantenimento (vita natural durante).
Gli aspetti negativi della dieta Atkins non sono proprio di second’ordine: all’organismo servono infatti almeno 120 grammi di glucosio al giorno per far funzionare correttamente il sistema nervoso centrale. Numero due: bruciando soprattutto grassi, il corpo è costretto a produrre chetoni, che abbassano il ph del sangue (lo rendono più acido), provocano nausea, mal di testa e affaticamento. Qualche altro effetto “piacevole” conseguente alla Atkins: insonna, ipercolesterolemia, tumore al colon, malattie cardiovascolari (l’assunzione di grassi animali aumenta il colesterolo).
2) La dieta South Beach. Tocca ora al programma teorizzato dal medico cardiologo Arthur Agatston, che ha – non si sa perché – un nome bellissimo: “Spiaggia del Sud”. In linea con le ultime tendenze in ambito dietetico, il regime prevede – di nuovo – una limitazione della quantità di carboidrati, la scelta di grassi (e in genere, alimenti) salutari per l’organismo, cioè a bassissimo indice glicemico. Aiuterebbe, oltre a perdere gli odiati chili, anche a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.
Come la Atkins, prevede una fase iniziale di induzione, dove il consumo di carboidrati viene ridotto al minimo. Anche qui, brutte settimane: addio a pasta, pane, riso, patate, frutta, dolci, zucchero, alcolici. Solo i primi alimenti citati verranno poi reintegrati, mettetevi l’anima in pace. I pasti, comunque, sono cinque al giorno, compresi i due spuntini; anche se, per dire, lo spuntino del pomeriggio prevede 10 pomodorini con ricotta magra: più o meno quello con cui di solito iniziate l’aperitivo. Segue una fase due di parziale reintegro e una fase tre di maggiore libertà. In pratica: se siete riusciti a resistere alla fase d’urto (la uno e parte della due), avete capito di sicuro cosa dovete e cosa non dovete mangiare. Come questo poi diventi automatico dalla fase tre in poi nel resto della vostra vita, è cosa da chiedere alla forza di volontà. Ammesso che sia d’accordo con il vostro nobile intento di mantenere il peso forma.
Comunque, anche qui, qualche problema: la South Beach è povera di vitamine e sali minerali. E poi, non considera le calorie. Che per chi ha intenzione di mangiare senza pensieri va benissimo. Un po’ meno se state cercando di applicare un metodo funzionale anche sul lungo termine.
3) La dieta Weight Watchers. Letteralmente: “Quelli che tengono d’occhio il peso”. Reazione immediata: un filo di ansia. In pratica: tutto si basa sull’educazione alimentare e sull’assunzione di uno stile di vita sano, e sul mantenimento (tenetelo d’occhio, appunto) del peso forma. Due i principi cardine: cambiare definitivamente le abitudini alimentari e lo stile di vita del soggetto; raggiungere un peso che permetta di stare bene con la propria immagine corporea. Cosa, quest’ultima, alquanto contestata, soprattutto dai professionisti che si occupano di disturbi del comportamento alimentare.
L’ha inventata Jean Nidetch negli anni Sessanta a New York. Aspetto peculiare: prevede l’iscrizione a un gruppo motivazionale ed educativo di supporto, affiancato da una sorta di sistema a punti attribuito in base alle caratteristiche personali (età, altezza, peso, sesso, attività fisica), che il soggetto deve quotidianamente rispettare. Ogni alimento vale punti, e ne vale di più quanto più è calorico: naturalmente lo scopo del gioco non è accumulare più punti di tutti. Però possono darvi dei punti bonus, se praticate attività fisica, e se risparmiate punti un giorno li potete utilizzare poi.
La Watching Watchers non esclude a priori nessun alimento (eccezion fatta per superalcolici e bevande gassose e zuccherate), ma predilige – per una sorta di sistema dei vasi comunicanti – un metodo che sostituisca alimenti salutari ad altri che non lo sono, e senza limiti nelle quantità.
Di fatto, una combinazione efficace tra alimentazione e psicologia dovrebbe garantirne il successo. Lati negativi: la necessità di compilare ogni giorno un diario alimentare con la pesatura di ciascun alimento (fate voi!), l’affidarsi a un gruppo di lavoro e raramente a uno specialista, con i rischi che ne conseguono (soprattutto per persone con disturbi del comportamento alimentare).
4) La dieta a zone. Dove “zona” è uno stato metabolico in cui l’organismo lavora al suo massimo picco d’efficienza. Cioè una condizione in cui il corpo lavora al meglio: senza attacchi di fame e con la massima efficienza (prestazioni fisiche comprese). Paradise.
Il suo fondatore, il biochimico americano Barry Sears, sostiene che equilibrando i tre macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi), si può raggiungere uno stato mentale e fisico ottimale. Perdita di grasso corporeo inclusa. Sostanzialmente: il cibo non è da evitare, ma da intendere come un farmaco che ci può guarire dalla malattia di volerne assumere più di quel che ci serve.
Qualche regola: in ogni pasto, si devono assumere sempre tutti e tre i macronutrienti (nelle giuste proporzioni) e non bisogna lasciar trascorrere più di cinque ore tra un pasto e l’altro. Sì a frutta e verdura (purché a basso indice glicemico); ridotti dolci, pane, pasta, riso e cereali raffinati. Apparentemente nulla di diverso dal buonsenso della piramide alimentare, ma – rispetto ad esempio all’amata dieta mediterranea – la Diet Zone riduce le percentuali un po’ di tutti i tre macronutrienti. E ti pareva non costasse fatica.