Esempio: Veneto≠Lombardia

5 segnali che il referendum ci dà

5 segnali che il referendum ci dà
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Il referendum sull’autonomia di Veneto e Lombardia ha colpito nel segno: con le elezioni ormai nel mirino, la questione del Nord è tornata a essere una priorità nell’agenda della politica. La reazione di Matteo Renzi lo attesta. Dopo l’atteggiamento tiepido del Pd in campagna referendaria, con il solo sindaco di Bergamo Gori schierato con convinzione per il , ora arriva invece un’apertura alle ragioni di fondo espresse dal voto. Ma cosa indica il risultato di questo referendum? Quali segnali lancia alla politica e al Paese?

 

1) Ha vinto più Luca Zaia che Roberto Maroni
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Questo è un esito che vale per gli equilibri interni della Lega e che potrebbe avere un peso per la politica italiana del prossimo futuro. Se il centrodestra la spuntasse alle prossime elezioni, il governatore veneto potrebbe giocare un ruolo chiave, visto che è un uomo ponte tra il Carroccio e Forza Italia.

 

2) Veneto e Lombardia non sono la stessa cosa
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La differenza di adesione al referendum è netta e va quindi anche interpretata. Il Veneto è una regione sempre più lontana da Roma. È orientata a est e a nord. Il rapporto con la capitale sembra davvero difficile da ricucire, e per quanto non sia la Catalogna, la sua richiesta di autonomia non va presa sotto gamba. Maroni invece governa una regione più complessa e più globalizzata. Una regione che si deve misurare con una capitale, Milano, che ha lasciato le urne deserte. La Lombardia è una regione che oggi si sente leader del Paese e non intende rinunciare a questo ruolo. Il Veneto pensa a se stesso. La Lombardia invece ha un’ambizione in più: ad esempio vuole l’Ema, l’agenzia del farmaco, ma per averla sa che deve avere l’Italia dalla sua.

 

3) Un tassello verso un nuovo centrodestra
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Dal punto di vista politico, il referendum è un altro tassello nella costruzione di questo fronte del centrodestra che si prepara alla sfida elettorale. È una prova di alleanze che ha dimostrato di funzionare e che recupera quel consenso al Nord che si era perso, per la brutta uscita di scena di Umberto Bossi e per l’ostinazione di Matteo Salvini di imporsi come partito nazionale e quindi cercare consensi al Sud. Ora il referendum porta le cose ad una normalità di programmi che arrivano più chiari all’elettore.

 

4) I 5stelle non si sono troppo sentiti
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Anche i 5stelle – e non poteva essere altrimenti – si sono schierati per il Sì. Ma per la prima volta si è avuta la sensazione che il Centrodestra in questo momento sia in grado di portar via una fetta di voti dell’elettorato scontento. Del resto Grillo e i suoi non possono permettersi di giocare di rimessa: quando lo fanno le loro posizioni si eclissano nell’anonimato delle tante formazioni politiche.

 

5) Il ritorno al protagonismo dei territori
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Il referendum rappresenta un ritorno di protagonismo dei territori. Da questo punto rappresenta una sconfitta per Matteo Renzi che con il suo governo aveva voluto imprimere una svolta neocentralista alla politica italiana. Sarebbe un errore che questo voto riguardi solo il Nord. In realtà risolleva altre partite aperte anche al Sud, che il renzismo aveva messo sotto il tappeto: basti pensare alla Puglia di Emiliano e per certi versi anche alla Napoli di De Magistris o alla Palermo di Orlando. Le onde del piccolo terremoto referendario sono onde destinate a propagarsi velocemente.

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