Cenate Sotto

«Abito in Via dei Morti e da quando è arrivata questa peste ho capito il significato»

Maria Teresa Melis è ausiliaria socio-assistenziale alla casa di riposo di Scanzo. Il Coronavirus l'ha fatta ricredere sul valore del nome della via dove abita e che voleva far cambiare

«Abito in Via dei Morti e da quando è arrivata questa peste ho capito il significato»
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di Ezio Pellegrini

Era scritto nel libro del destino: «Abiterai in via dei Morti» (con la M maiuscola). No, in via dei Morti no. Ma come si fa nel XXI secolo avere in paese una via che elogia la morte? Quella strada porta a una cappellina campestre, che ricorda la fossa comune dei morti della peste del 1630. E oggi che la peste è tornata, Via dei Morti prende un altro significato e costringe alla riflessione. Così Maria Teresa Melis, che per mestiere cura amorevolmente le persone ricoverate alla Casa di riposo, e che è costretta, impotente, a vedere i suoi anziani andarsene così tanti insieme e in fretta ha come un sussulto.

Prende carta e penna e scrive una lettera di getto:

«Vivo in Via dei Morti. Vivo in un paese meraviglioso, Cenate Sotto, in provincia di Bergamo. Ho una bellissima famiglia, ho l'onore di far parte della Proloco, come vicepresidente e faccio un lavoro bellissimo. Il mio lavoro in prima linea come ausiliaria socio-assistenziale in Rsa mi ha temprata bene. Ogni giorno il dolore si traduce in terrore in questi mesi di morte e di virus, ma adoro il mio lavoro, i miei nonni e lo faccio con responsabilità. Ho scelto il mio lavoro! Il mio bellissimo paese, tanto tempo fa ha dedicato una via alla morte. Ai morti della peste: "Via dei Morti". La mia via. Da quando ci vivo sento addosso il peso di questo indirizzo, e ammetto che allora non lo capivo. Ho pensato persino a una petizione per cambiare questo indirizzo in qualcosa di più "vivo". Quella parola Morte in maiuscolo mi spaventava. Ogni volta dire che vivo in Via dei Morti dà l'input a mezzi sorrisetti e battutine. Ora credo che non ci sia più niente da ridere. Ora che la "peste" è tra noi e ci uccide a migliaia, sento il dovere di salvaguardare questa via e onorare tutti i nostri morti passati e presenti. Della peste di un tempo e del Cronavirus di oggi. Non accettavo e non capivo la necessità di una via che elogiasse tanto la morte, ora ne sono onorata. Vivo in Via dei Morti a Cenate Sotto e ne vado fiera».

Maria Teresa Melis

Davide Casati, sindaco di Scanzorosciate, lo scorso 1 aprile ha snocciolato un po’ di numeri. Sono da brividi. In tre mesi a Scanzorosciate sono morte 141 persone (nel 2019 erano state 36), 112 nel solo mese di marzo. Di queste molte vivevano nella casa di riposo della Fondazione Piccinelli, dove lavora Maria Teresa Melis. Del suo lavoro dice «che non è facile prendersi cura degli anziani, sapendo che in giro c'è un mostro come il virus. Sono così fragili. Vederseli portare via senza poter fare niente di più di quello che abbiamo sempre fatto per loro è atroce. E poi senza sapere perché sono andati via. La mia Rsa è encomiabile, tutto il personale è encomiabile. Si lavora con il cuore in mano, con tanta responsabilità e professionalità. Ogni giorno ci adoperiamo a portare avanti una missione umana nel migliore dei modi. Alla fine del turno siamo stanchi e pieni di segni sul viso, tra mascherine e occhiali di sicurezza, ma fieri di aver dato il massimo ogni giorno».

Da questa esperienza nasce il desiderio di trattenere tutto il vissuto possibile. «Gli anziani per me sono biblioteche umane. Affrontiamo questa emergenza con professionalità e coraggio. Sono sicura che tutto finirà presto. E sarà indimenticabile. Se vogliamo dare un senso a tutto questo non dobbiamo dimenticare ciò che è successo. Dobbiamo restare umani». Non dimenticare è ciò che ha fatto esattamente Cenate Sotto con la dedicazione di un luogo a peritura memoria. Quella toponomastica ricorda una strage degli innocenti avvenuta per uno strano virus; lo stesso che sta capitando a noi oggi.

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