Affaticamento, dispnea, ricadute psicologiche: le cicatrici nascoste di chi guarisce dal Covid
L'analisi ha valutato un campione di 767 pazienti curati dal Papa Giovanni XXIII, che ha ideato e gestito un percorso di presa in carico, cura e valutazione delle persone guarite dal Covid e transitate dall’ospedale di Bergamo, da quello di San Giovanni Bianco e dal presidio della Fiera
Sintomi da affaticamento, dispnea da sforzo e palpitazioni in un paziente su due. In particolare, le donne riferiscono di casi di stanchezza con una frequenza quasi doppia. Una minima parte è ancora incapace di svolgere le normali attività quotidiane, di lavorare, o ha perso la propria indipendenza. Senza tralasciare poi le ricadute traumatiche sul piano psicologico, che coinvolgono circa il 30 per cento dei pazienti.
Sono i principali risultati dello studio clinico del Papa Giovanni XXIII che ha ideato e gestito un percorso di presa in carico, cura e valutazione delle persone guarite dal Covid e transitate dall’ospedale di Bergamo, da quello di San Giovanni Bianco e dal presidio della Fiera. L’analisi, intitolata Surviving Covid-19 in Bergamo Province: a post-acute outpatient re-evaluation, ha preso in considerazione i primi 767 pazienti dei 1.562 che si sono ammalati tra febbraio e agosto e che sono stati sottoposti al controllo di follow-up tra maggio e ottobre.
Il campione
Dei 767 pazienti che al 31 luglio avevano completato la valutazione post dimissione, il 32,9 per cento (ossia 252) sono donne, mentre l'età media è di 63 anni in un range che spazia dai 20 ai 92 anni. Dei malati presi in esame 668 sono stati ricoverati e 66 di loro (8,6 per cento) hanno avuto bisogno di essere curati in terapia intensiva. Solo 159 non hanno mai avuto bisogno di aiuto nella respirazione. Per tutti gli altri si è dovuto ricorrere all’ossigeno: in particolare 133 persone (17,8 per cento) hanno avuto bisogno del casco Cpap e 62 (8,3 per cento) sono stati intubati.
Il ricovero è durato in media 10 giorni, ma per coloro che sono transitati in terapia intensiva la durata media è stata di 30 giorni. L’8 per cento dei pazienti ha toccato punte di degenza ospedaliera superiore ai 60 giorni. Le principali comorbilità registrate in ingresso erano obesità (22,3 per cento), ipertensione (21,7 per cento), diabete (11,6 per cento) e malattia coronarica (9,5 per cento). Il 27,6 per cento di loro è, o era stato, un fumatore. Infine, 253 pazienti (32,9 per cento) hanno avuto ulteriori complicanze correlate all’infezione durante la fase acuta del ricovero, di cui le più frequenti sono state di tipo psichiatrico o psicologico (8,7 per cento), cardiaco (8,5 per cento), polmonare (7,1 per cento) e trombotico (6,1 per cento).
Lo studio, pubblicato su Epidemiology & Infection, ha elaborato i dati raccolti dal percorso di presa in carico avviato all’inizio di maggio alla Fiera, poco dopo la chiusura dell’ospedale da campo (che è stato riaperto a novembre ndr). «Questi ambulatori hanno offerto un percorso clinico a circa 30 pazienti a settimana – spiega Marco Rizzi, direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale di Bergamo che è stato chiamato dall’Oms al tavolo di lavoro internazionale creato sull’argomento -. Il nostro modello prevedeva due accessi: nel primo il paziente veniva preso in carico dall'infermiere che eseguiva un inquadramento delle sue condizioni cliniche, un prelievo ematico e un elettrocardiogramma. Nella stessa giornata il paziente eseguiva una radiografia al torace, delle prove spirometriche, una valutazione psicologica e una valutazione riabilitativa. Al momento del secondo accesso il paziente veniva visitato da un infettivologo che valutava l'esito degli accertamenti eseguiti al primo accesso e decideva se era opportuno proseguire con ulteriori esami. Due giorni a settimana erano presenti anche colleghi pneumologi».
I risultati dello studio
Sono stati 394, ossia il 51,4 per cento, i pazienti che hanno riferito di essere ancora sintomatici al momento della valutazione. Affaticamento, dispnea da sforzo e palpitazioni sono invece i principali sintomi riferiti. Nel complesso sono 334 i pazienti (44,1 per cento) che lamentano ancora affaticamento, di cui 145 un affaticamento di grado moderato o grave. Le donne sono più sofferenti degli uomini e riferiscono stanchezza con una frequenza doppia. La dispnea auto-segnalata è presente in 228 pazienti (29,8 per cento), di cui 52 con dispnea moderata o grave. Le prove di funzionalità respiratoria sono risultate patologiche nel 19 per cento dei casi. Le persone che hanno perso la propria indipendenza sono 121 (16 per cento), mentre 186 pazienti (24,2 per cento) prendono ancora i farmaci introdotti durante il ricovero, ad esempio gli anticoagulanti.
Del campione analizzato, 379 pazienti (49,4 per cento) sono stati indirizzati a percorsi specialistici di cura nelle seguenti specialità: medicina respiratoria (281 pazienti; 36,6%), cardiologia (63; 8,2%), medicina fisica e riabilitazione (62; 8%) e neurologia (52; 6,8%). Inoltre, 222 pazienti convivono ancora con sentimenti traumatici correlati alla malattia e il 95,5 per cento dei malati non trova il modo di reagire in modo adeguato all’accaduto. Da luglio è stato anche introdotto lo screening Montreal Cognitive Assessment (MoCa), visto il numero crescente di pazienti che lamentano difficoltà di concentrazione. I risultati però sono stati giudicati patologici solo in 2 casi, nonostante 69 riferiscano sintomi correlati.
«La malattia ha lasciato in diversi casi esiti psicologici rilevanti, come ci aspettavamo dopo un evento così traumatico, anche a livello sociale, che ha scardinato tutte le nostre certezze – aggiunge Ave Maria Biffi, referente degli ambulatori psicologici allestiti alla Fiera -. I pazienti raccontano in particolare la solitudine vissuta in ospedale, nell’impossibilità di vedere famigliari ed amici, e la paura data in larga parte dall’incertezza di quello che stava succedendo».
Il lavoro porta la firma degli infettivologi del Papa Giovanni XXIII Serena Venturelli, primo autore, Marco Rizzi - direttore del reparto di Malattie infettive dell’Ospedale di Bergamo e chiamato dall’Oms al tavolo di lavoro internazionale creato su questo argomento -, Simone Benatti, Francesca Binda, Gianluca Zuglian, i pneumologi Gianluca Imeri e Caterina Conti, gli psicologi Ave Maria Biffi e Simonetta Spada, il direttore del Dipartimento di salute mentale Emi Bondi, la neurologa Giorgia Camera, la fisiatra Roberta Severgnini, il cardiologo Andrea Giammarresi, il medico di Pronto soccorso Claudia Marinaro, l’endocrinologo Alessandro Rossini, il radiologo Pietro Bonaffini, il Direttore del Laboratorio di analisi chimico-cliniche Giovanni Guerra, il direttore del Clinical trial center Antonio Bellasi, Monica Casati e Simonetta Cesa, Direttore Direzione professioni sanitarie e sociali.