Parla il primario Molinero

Alla Casa degli Angeli di Mozzo è davvero dura guarire senza gli amici accanto

Il Covid si è portato via tutta l’allegria che era parte integrante delle terapie di riabilitazione. La solitudine pesa soprattutto sui più giovani: «Pesano le ore vuote senza visite dei parenti e tante attività. Tornare a casa adesso è una spinta emotiva molto più sentita»

Alla Casa degli Angeli di Mozzo è davvero dura guarire senza gli amici accanto
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La Casa degli Angeli era un posto pieno di vita. Si facevano pizzate, feste di compleanno, serate in musica. Queste attività erano parte della riabilitazione. Ora non esistono più. Il centro di riabilitazione di Mozzo dell’ospedale Papa Giovanni è sempre immerso nel verde e nella bellezza, ma ha perso una parte della sua umanità. Ne abbiamo parlato con il primario, Guido Molinero.

Dottore, dov’è andata l’allegria dei malati e dei loro amici?

«Tutto finito. Se l’è portata via il Covid».

Come?

«Imponendo le sue regole di distanziamento e di attenzione e chiudendo le porte agli esterni».

Il dottor Guido Molinero

Qui sono ricoverate persone che hanno subito traumi importanti, magari in seguito a incidenti stradali o sul lavoro: quanto pesa questo isolamento?

«Qui la famiglia e gli amici sono parte integrante della terapia. La loro assenza è una deprivazione pesante. Non possiamo neppure concedere i permessi domiciliari per la verifica dell’autonomia. In realtà, possiamo mandare a casa una persona, ma al rientro dobbiamo isolarla, farle il tampone e aspettare che l’esito sia negativo».

Regole vincolanti.

«Assolutamente sì. Noi abbiamo chiesto una deroga, l’ospedale Papa Giovanni ce l’ha concessa, ma proprio per questo dobbiamo stare ancora più attenti».

Che cosa avete ottenuto?

«Che un parente possa venire almeno per pranzo o per cena due volte la settimana o quando ci sia una necessità di addestramento all’igiene, all’assistenza, agli spostamenti prima delle dimissioni. Ma adesso riduciamo ancora gli ingressi sulla scorta di quanto sta succedendo a livello nazionale».

E per i casi più gravi?

«Facciamo fare il tampone ai familiari e vengono un’ora al giorno».

Tutte queste necessarie precauzioni che cosa comportano per i malati?

«Tanta solitudine. E infatti quello che pesa di più ai pazienti sono le ore vuote. E il sabato pomeriggio e la domenica».

Come passano il tempo?

«Camera, area di riabilitazione, mascherina sempre, attenzione ai contatti. Non è facile».

E che cosa racconta ai pazienti più giovani?

«Per fortuna fanno un po’ unione tra di loro. Ma desiderano andare a casa. Prima era un passaggio graduale, adesso è una spinta emotiva molto più sentita».

Per lei che aveva creato un ambiente accogliente, un bel problema.

«Intanto viviamo un po’ di ricordi. Nella speranza di poter riprendere, ma non sappiamo quando».

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