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Altro che cognomi bergamaschi Molti potrebbero essere africani

Altro che cognomi bergamaschi Molti potrebbero essere africani
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Chi si fregia del suo cognome tipicamente bergamasco, con secoli di tradizione alle spalle, potrebbe avere una sorpresa. Per carità, il curriculum orobico non verrà inficiato, ma per una serie di casate dalla A alla T – tipo Alcaini, Astori, Bigoni, Bonzi, Ceroni, Donati, Donzelli, Fanzago, Grigis, Girardi, Gavazzi, Manzoni, fino ad arrivare agli insospettabili Cattaneo, Locatelli, Pesenti, Personeni, Roncalli e Tiraboschi – l’origine moresca, ovvero una provenienza afro-musulmana, con filtro iberico, non sarebbe da escludere. L’ipotesi la mette sul piatto il saggio Immigrazione delle popolazioni moresche nelle Valli bergamasche di Stefano Bombardieri, contenuto nel 15esimo numero dei Quaderni Brembani, bollettino del Centro Storico Culturale Valle Brembana Felice Riceputi, che verrà presentato sabato 26 novembre, ore 15, al Museo della Valle di Zogno.

Solo un’ipotesi. L’arrivo delle popolazioni moresche sulle nostre montagne potrebbe addirittura risalire a più di 1000 anni fa, quando cominciarono a muoversi dal Sud della Spagna, dalla regione dell’Almeria.  Ma è soltanto uno spunto, appunto, non certo una tesi inoppugnabile. Nella storia più recente, tra l’altro, il termine moriscos (moreschi, appunto) è stato usato per indicare i musulmani di Spagna che abbracciarono forzatamente la religione cristiana fra il 1492, anno della fine della Reconquista, e il 1526. Il nome fu peraltro usato, con connotazione dispregiativa, anche per i loro discendenti, fino alla definitiva espulsione dei musulmani, decretata nel quinquennio 1609-1614. Per i musulmani cui - in cambio di un tributo - era stato invece consentito vivere nei territori cristiani precedenti la Reconquista della Penisola iberica, si era usata invece la parola castigliana mudéjar. Il processo di conversione fu sostenuto dalle autorità ecclesiastiche e, in special modo, dall'arcivescovo di Toledo Francisco Jiménez de Cisneros, reggente di Spagna che, a partire dal 1498, iniziò una forzosa conversione degli arabi, dei berberi e degli ispanici in genere di fede islamica della Penisola iberica, presenti su quei territori da oltre 800 anni.

 

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Cosa c’è nel 15esimo Quaderno. Anche quest’anno l’annuario si presenta assai corposo, giovandosi dei contributi di oltre cinquanta soci, dedicati come al solito ai più diversi argomenti, dalla ricerca storica, a quella archeologica, all’arte, alla poesia, alle tradizioni. I testi sono organizzati per gruppi omogenei, per dar modo ai lettori di orientarsi nel gran numero di proposte, ciascuna interessante nel suo genere e non di rado del tutto originale e inedita. Si spazia dagli approfondimenti linguistici sulle iscrizioni della Val Camisana, alla rassegna di ciò che resta degli slogan d’epoca fascista che corredavano le pareti di alcuni edifici dei nostri paesi, dalla rievocazione del ruolo della famiglia Tasso nel quinto centenario della nascita delle poste d’Europa, alla ricerca sulle antiche date brembane, senza trascurare il ricordo dei soci che se ne sono andati nel corso dell’anno (Giupponi Giuseppe e Bepi Belotti) e che hanno contribuito alla vita della sezione fin dai primi anni. Non mancano i riferimenti agli anni della guerra, con la presentazione di testimonianze, ricordi di personaggi, memoriali ed eventi che rappresentano con immediatezza il dramma di quei tempi travagliati. Come di consueto, la seconda parte del volume è dedicata alla sezione dei racconti e delle poesie, seguite dallo Scaffale brembano che annovera una trentina di recensioni di libri dedicati alla Valle Brembana e alle tesi di laurea o di maturità di analogo contenuto. Chiude l’annuario la rassegna delle poesie vincitrici o finaliste della sesta edizione del San Pellegrino Festival di poesia per e dei bambini.

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