Al mattino ci risvegliamo con un totale buco nero

Anche se sogni Angelina Jolie poi la dimentichi. Ma perché?

Anche se sogni Angelina Jolie poi la dimentichi. Ma perché?
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C’entrano un gruppo speciale di neuroni, un ormone altrettanto particolare e una precisa fase del sonno, quella REM: questi tre fattori in sinergia ci indurrebbero a dimenticare i sogni. Sia che si tratti di George Clooney o Angelina Jolie, dell’uomo nero o del compagno della vita, poco importa. Al mattino è un totale buco nero, tabula rasa: la mente ha cancellato qualunque sogno e ricordo notturno se questi tre fattori, in combutta, ci hanno messo lo zampino. A dirlo è una recente ricerca ancora a livello di laboratorio, pubblicata sulla prestigiosa rivista Science, condotta da scienziati giapponesi del Research Institute of Environmental Medicine di Nagoya in collaborazione con altri istituti nipponici, e ricercatori americani del Center for Neuroscience, SRI International, di Menlo Park in California.

 

 

Chi sogna. A quanto pare un po’ tutti per il circa il 25 per cento della notte, tuttavia più del 90 per cento dei dormienti sognatori dimentica qualunque immagine, sogno, visione o che sia, fatti durante il sonno. Si stima che solo il 10 per cento abbia la memoria lunga anche sugli accadimenti visionari notturni e la loro «fortuna» nel ricordare si associa al momento del risveglio, coincidente con la fase di sonno REM, quella in cui si producono e creano i sogni. Ma anche se si aprono gli occhi in questo momento di élite, il tempo per memorizzare un sogno è risicatissimo: non più di 15 minuti dal risveglio. Oltrepassata questa soglia limite per l’immagazzinamento, addio sogno: il suo destino è comune a quello di tutti gli altri, finire nell’oblio, come se non fosse mai nato.

 

 

La condizione «sine qua non». Lo abbiamo detto: per ricordare i sogni, il fattore chiave è la fase del sonno, quella REM, in cui si attua il rapido movimento degli occhi, aumenta il battito cardiaco, gli arti si immobilizzano e si incrementa l’attività delle onde cerebrali, tutte prerogative necessarie alla formazione e produzione di sogni. Ma ancora non basta: oltre a questa specifica fase del sonno serve anche la partecipazione attiva di un gruppo speciale di neuroni, le cellule MCH, le quali hanno due caratteristiche. Sono localizzate nell’ipotalamo, area che nel cervello responsabile di governare gli stimoli del sonno e dell’appetito, e sono coinvolte nella produzione di un ormone, l’oressina o ipocretina, che causa la narcolessia, una problematica che induce sonnolenza perenne provocando anche debolezza muscolare e allucinazioni.

 

 

Cosa spiega tutto questo. La questione è più complessa di quello che forse può sembrare. Il sonno ha una funzione «vitale» per l’organismo, non solo per il riposo, ma anche perché consente al cervello di fare piazza pulita di tutti gli eccessi. Ovvero di liberarsi di tutte le informazioni e dati superflui, con molta probabilità anche dei sogni, e immagazzinare e ricordare solo quanto serve. Una intuizione di base, questa, su cui si lavora da anni e che doveva tuttavia essere scientificamente dimostrata e validata. E forse adesso ci siamo: infatti un gruppo di ricercatori americani e giapponesi si sono messi al lavoro in laboratorio studiando cosa accadesse in questo complesso meccanismo del sogno e del ricordo, osservando il comportamento dei topolini nella fase di sonno REM, principalmente, come in altri momenti del riposo, tuttavia con maggiore attenzione a due particolari condizioni: durante l’attivazione e poi lo spegnimento delle cellule MCH.

 

 

Le prime dimostrazioni. Hanno attestato quanto i ricercatori si aspettavano. Ovvero che le cellule MCH, che producono l’ormone inquisito, sono in più della metà dei casi particolarmente attive nelle fasi di sonno REM, restando invece produttive solo per circa il 35 per cento negli altri momenti di sonno. A dimostrazione di questo fatto la riprova che attivando queste cellule durante la fase di sonno REM, i topolini tendevano a dimenticare un episodio e informazioni molto recenti, dunque acquisite ma non ancora consolidate, mentre una volta disattivati, sempre nella fase di sonno REM, ecco che i ricordi apparivano molto più vividi. In buona sostanza al termine degli esperimenti i ricercatori sono arrivati a ritenere che le cellule MCH cancellano dal nostro cervello dati superflui ma solo esclusivamente mentre sogniamo. I risultati dei test sui topolini suggerirebbero anche che i sogni avvengono prevalentemente nel sonno REM, quello in cui le cellule MCH sono attive, stimando così che queste ultime siano la causa che impedisce l’archiviazione dei sogni nell’ippocampo, destinandoli a finire nel dimenticatoio. Ecco che la nostra non-memoria notturna, dei sogni in particolare, avrebbe una spiegazione e un senso.

 

 

Una applicazione «clinica». Lo studio non sembra essere stato utile solo per spiegare un fenomeno onirico. Serviranno altre ricerche ma pare che queste informazioni preliminari e future potranno essere utilizzate per studiare i disturbi del sonno e della memoria e trovare nuove vie di cura.

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