L’Armenia è una terra di antiche origini, ricca di testimonianze del passato tra insediamenti storici, musei, chiese, caravanserragli e centri religiosi di rilievo distribuiti sull’intero altopiano. Sul suo territorio, nel corso degli anni si sono succeduti popoli diversi, che tuttavia non hanno scalfito l’identità culturale degli armeni, gente fiera e resistente. L’Armenia è stato il primo Paese al mondo a riconoscere la religione cristiana, nel 301 d.C. Da qualche settimana, però, questa terra è in subbuglio e rischia di diventare uno dei prossimi focolai di crisi. Nella capitale Yerevan da venerdì 19 giugno si stanno succedendo una serie di proteste da parte del popolo, che mal digerisce la decisione del Parlamento di aumentare il costo dell’elettricità di quasi il 17%. A manifestare è la gente comune, insieme agli attivisti delle ong, un movimento per la maggior parte apolitico che cerca di tenere lontane le ingerenze di alcuni partiti dell’opposizione, che ha cercato di cavalcare l’onda del malcontento per ottenere consensi. Gli esperti non escludono che il movimento di protesta, nato sotto slogan economici, acquisisca connotazioni politiche ed abbia conseguenze estremamente spiacevoli per quanti sono al potere.
Repressione violenta da parte della polizia. Le proteste, partite pacificamente, si sono presto trasformate in scene di violenza, con le forze di sicurezza che hanno fatto ricorso ai cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, accampati in piazza della Libertà. La polizia, spesso in borghese, ha arrestato centinaia di persone in modo sommario e ne ha malmenate altrettante, tra cui molti giornalisti presenti. Gli agenti hanno respinto le accuse, sostenendo anzi di essere stata fin troppo morbida nei confronti dei manifestanti. A nulla sono valse le testimonianze di attivisti e giornalisti, supportate da immagini e video dei pestaggi.
GUARDA LA GALLERY (8 foto)
Si rischia una nuova Ucraina. Adesso la situazione però rischia di degenerare, anche per via delle implicazioni a livello geopolitico, e il timore di molti analisti è che il fuoco covi sotto la cenere e prima o poi possa trasformare il Paese in una nuova Ucraina. Le forniture elettriche in Armenia provengono per la quasi totalità dalla Russia, e sono in mano alla società Inter Rao, di proprietà di un magnate molto vicino al Cremlino. È la stessa Inte Rao ad aver imposto gli aumenti, che entro agosto dovrebbero arrivare a un +22%, a causa della svalutazione del dram, la moneta armena, crollata in seguito alla crisi del rublo. L’aumento dei prezzi dell’elettricità, però, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha dato il via all’espressione del malcontento popolare nei confronti di un governo che ha trascinato il Paese in una pesante crisi economica, peggiorata dalle sanzioni che hanno messo in ginocchio l’economia russa.
Amici della Russia. Russia e Armenia sono Paesi alleati e grandi amici. Non sono in pochi, in Russia, a vedere dietro le proteste lo zampino di un’entità esterna, occidentale, per provocare una rottura del rapporto di amicizia . Anche il premier armeno ha parlato apertamente di un piano per destabilizzare il Paese, per portare l’Armenia in una situazione come quella in cui è caduta l’Ucraina prima che scoppiasse la guerra civile.
Conflitti latenti. In questo quadro dalle tinte fosche, si devono aggiungere i timori per le ripercussioni che un inasprimento della situazione economica armena potrebbe avere sulla regione del Nagorno-Karabakh, nel sud del Caucaso, che da oltre 20 anni è teatro immobile delle contese fra azeri e armeni. Attualmente è un’enclave azera occupata militarmente dall’Armenia, e da cui dipende anche perché rappresenta il mercato in cui riversa le sue limitate esportazioni. Sebbene l’Armenia sia interessata da una pesante crisi economica, aggravata dal fatto che il Paese non possiede uno sbocco sul mare, il governo continua a concentrare una cospicua parte del proprio Pil nazionale in favore del settore della Difesa per poter sostenere il conflitto congelato con il vicino Azerbaigian in merito al Nagorno-Karabakh. Secondo recenti stime l’Armenia è il terzo Paese al mondo dopo Israele e Singapore con il maggiore livello di militarizzazione e con una spesa militare pari al 4% del Pil nazionale.
La situazione economica armena. Dal punto di vista economico, stando ai dati dell’Economist, l’Armenia dovrebbe crescere del 3,1% per il periodo 2015-2016, anche se deve affrontare una serie di importanti sfide. Prima di tutto deve far fronte al deficit del budget nazionale pari a -1,7% del PIL guidato da un ammontare delle spese di 3 miliardi di dollari superiore agli introiti (2.825 miliardi di dollari), dal tasso di disoccupazione del 15.9% (2013), da un debito pubblico del 42,4%, da una netta differenza tra le importazioni (4.02 miliardi di dollari) rispetto alle esportazioni (1,75 miliardi di dollari), e da un debito esterno di 7.493 miliardi di dollari. Gli unici elementi che permettevano di tirare un po’ di respiro erano dati dalle rimesse degli armeni che lavorano all’estero, ma la crisi russa e le sanzioni comminate al Cremlino dall’Occidente hanno determinato anche una riduzione del lavoro per gli armeni nel Paese. In questa situazione non confortante il governo ha deciso di entrare nell’Unione Doganale. Il che ha definitivamente inserito l’Armenia all’interno dell’orbita della Russia permettendo al Cremlino di consolidare la propria presenza riuscendo a mantenere non solo influenza politica ed economica ma anche militare grazie alle base di Gyumri, e quindi causando un allontanamento dello stato armeno dall’occidente, elementi che pongono ulteriori dubbi ed incertezze sul futuro.