Lasciate in pace il Piccolo Principe (non è roba per ragazzini)

Forse è giunto il momento di dire: basta così. Lasciate stare Il Piccolo Principe. Adesso c’è perfino chi si è messo a commentare l’opera più nota di Saint-Exupéry con testi della Bibbia a fianco. Sarà forse perché la Bibbia è il libro più venduto al mondo che anche questa storia surreale ha venduto tanto, ha aggiunto il solito esperto in analisi del mercato spiritual-popolare. E allora dichiariamolo subito, perché tanto è già stato detto: Il Piccolo Principe non è un libro per bambini e non è un libro religioso. È un libro per adulti che abbiano attraversato una crisi matrimoniale. E aggiungiamo: i testi biblici citati nell’edizione segnalata anche dalla Civiltà Cattolica facevano parte del patrimonio culturale comune alle persone colte (ma anche meno colte) dell’età del pilota che ne è l’autore. Oggi bisogna spiegare ai genitori dei bambini del catechismo che Davide non era il figlio di Michelangelo, ma un tempo non era così. E dato che ci siamo facciamo anche lo scoop (uno scooppettino). Chi scrive ha conosciuto la signora dalla quale Saint-Exupéry si recava in visita ogni volta che arrivava a Buenos Aires col suo aeroplano. Enorme e goffo si presentava strafugnando timidamente il proprio basco e con in mano una rosa che regolarmente annunciava come proveniente da Parigi. Il figlio di questa signora mi riferì che una volta, nel corso di un’amabile conversazione in salotto la madre - donna assai intelligente, religiosa e colta - chiese allo scrittore inquieto cosa vedesse al di là delle stelle che contemplava volando. L’intenzione era quella di indurlo a confessare che intravedeva (almeno intravedere, tra il lusco e il brusco. Vedere sarebbe stato troppo) la presenza del mistero di Dio. Ma la risposta, dopo qualche esitazione a occhi bassi e con grave pregiudizio per la salute del copricapo, fu: «(esitazione) C’est le péché originel, madame». Traduzione: mi dispiace per me e per lei, ma sono ancora dentro il peccato originale e non posso dirle quel che penso che desidererebbe ch’io dicessi. Non c’è feeling tra me e l’al di là delle stelle. Molti hanno riferito del rovello interiore dell’uomo del basco e delle rose, ma la situazione penso proprio che fosse quella testimoniata dalla conversazione in salotto. Una condizione molto francese, per altro. Di uno specifico erotismo intellettuale. Quanto alla vicenda sentimentale da cui nacque il libro - situazione per altro nota da tempo immemorabile, ossia da quando l’autore era ancora in vita - forse un recente articolo su Slate.fr ci consente di raccontarla. Consuelo Gómez Carillo era una gran bella ragazza salvadoregna due volte vedova quando incontrò - a 26 anni - Saint-Exupéry. In Mémoires de la rose (ci risiamo con la rosa) diario che Consuelo ha scritto dopo la morte del marito, ma senza intenzione di pubblicarlo, ci racconta del pessimo comportamento di lui che, dopo la travolgente passione iniziale, portò alla rottura (désintégration) del loro matrimonio. Veniamo così a sapere delle frequenti fughe dell’uomo dal tetto coniugale, delle sue numerose avventure con altre donne, la più duratura delle quali sembra sia stata con la ricchissima Nelly de Vogüé, che lo considerava una specie di Gesù Cristo redivivo (Christ-like. vedi). Ma la signora era inglese e quindi chi sa cosa pensava che fosse, Gesù Cristo. Consuelo arrancava dietro il marito irrimediabilmente in volo tra Buenos Aires e Casablanca, Parigi e New York, restando sempre fedele ai mutamenti di luogo e di umore dell’uomo a cui aveva sacrificato la vita.
Ciononostante lui, un bel giorno, se ne va. Sparisce. Seguendo analiticamente il percorso della rosa nel Piccolo Principe Sasha Watson, autrice dell’articolo su Slate, mostra come il fiore rappresenti Consuelo abbandonata e il principino l’aviatore che si allontana - come dice il testo - nel bel mezzo di una migrazione di uccelli. È un peccato che sia andata così, ma del resto la vita è quella che è e nel tempo anche gli amori passati restano importanti. «La rosa non è magari bellissima, il principe può essere crudele, ma l’amore che hanno condiviso continuerà a colorare d’oro il grano, a far cantare il vento e a far brillare le stelle». Secondo Watson dunque - ma, ripeto, non è una novità - la conclusione del libro starebbe a dire che «tutti noi commettiamo delle sciocchezze (bêtises), ne portiamo tutti la responsabilità, ma l’amore vale queste sciocchezze, quale che sia la maniera in cui termina. Dopo tutto «Se ami un fiore che si trova in una stella, è dolce, la notte, stare ad osservare il cielo». Magari, verrebbe da dire, per il fiore non sarà ugualmente gradevole guardare dalla sua stella un aeroplano che farfalleggia di altro fiore in altro fiore sulla Terra. In ogni caso, docenti delle medie, per favore lasciate perdere il Piccolo Principe: non è roba per ragazzini. Una frase ogni tanto qua e là, scorticata dal contesto, può andar bene - e addirittura rivelarsi utile - fra e per coloro che non sanno. Ma l’insieme, date retta, è tutt’altra cosa.