Belotti, (dis)avventure da onorevole «Mi segua che le prendo le minuzie»
A chi pensa che l’avventura nel romano Parlamento per un ragazzo (o forse ormai ex) di provincia, per di più discendente diretto delle tribù celtiche dei Gallo Cenomani, sia tutto oro, mi spiace ma si sbaglia di grosso. Se settimana scorsa in questa ignobile rubrica (che il brillante direttore Ettore Ongis ha partorito in un momento, seppur breve, ma decisamente palese, di assenza delle proprie facoltà mentali) sono state elencate una serie di onorevoli sfighe, ora è il momento di fare outing!
Tranquilli, non in quello che qualcuno pensa (per ora l’aurea femminile resta un chiodo fisso), bensì ammetto di avere grosse difficoltà di comprensione dell’arcaica lingua italoromana parlata, e scritta, all’interno dell’austero palazzo di Montecitorio. Sono assolutamente consapevole di dare così ragione all’illuminata intellighenzia del duo Giorgio Gori e Nadia Ghisalberti che ha giustificato la bastonata elettorale del Pd con il fatto che «la gente legge pochi libri ed è di basso livello culturale» quindi vota di pancia e sceglie Lega e 5 Stelle anziché il Pd. Io infatti non leggo libri, ogni tanto ne scrivo qualcuno che, comunque, mi guardo bene dal leggere. Tutto questo per spiegare le mie onorevoli disavventure lessicali in terra romana.
Però sfido voi, esimi lettori orobici, a conoscere il significato della parola "minuzie". Ecco il fatto. Siamo al primo giorno di scuola, alla compilazione delle lunghe pratiche di accreditamento dei neodeputati. Davanti a me un rigoroso e formale funzionario della Camera che mi sottopone a un interrogatorio stile Kgb. Con tono severo pone le domande di rito: nome, cognome, nato a, residente a, codice fiscale a memoria, partecipazioni azionarie e così via. Certo, tutto facile, direte voi. Quando però l’austero dirigente parlamentare esclama «Ora le prendo le minuzie», una goccia di sudore mi solca la fronte. Gli occhi sbarrati...»