Caso Bossetti, l'avvocato Salvagni: «Dalla Cassazione due schiaffoni alla Corte di Bergamo»
La Suprema Corte ha stabilito che i legali del muratore di Mapello hanno diritto di analizzare i reperti di dna attorno a cui ruota l'intera vicenda
di Wainer Preda
Nuovo capitolo della battaglia legale su Massimo Bossetti. Settimana scorsa, la Cassazione ha stabilito che la difesa dell’operaio di Mapello - condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio -, ha il diritto di analizzare i reperti d’indagine, ovvero soprattutto i campioni di dna attorno ai quali ruota l’intero caso. Abbiamo chiesto al difensore di Bossetti, l’avvocato Claudio Salvagni, le sue prossime mosse.
Cosa significa per la difesa l’ultimo pronunciamento della Cassazione?
«Non abbiamo ancora le motivazioni, dunque prima di esprimere giudizi e valutazioni attendiamo. Però possiamo fare alcune considerazioni. Innanzitutto, vuol dire che si torna davanti al giudice dell’esecuzione di Bergamo, cioè alla Corte d’Assise. Secondo, molto importante: per l’ennesima volta la Corte di Bergamo prende, mi consenta il termine, “due schiaffoni” dalla Cassazione, che ha confermato che i principi del diritto, che noi abbiamo sempre invocato, valgono anche a Bergamo».
La battaglia legale gira intorno ai reperti.
«Il pronunciamento della Cassazione è oltremodo importante perché Massimo Bossetti non ha mai potuto esaminare quei reperti durante tutta la vicenda processuale. Li abbiamo chiesti in sede d’esecuzione e, nonostante l’autorizzazione del giudice, non ci sono stati fatti vedere».
Perché secondo lei?
«È un qualcosa di assolutamente strano, che sfugge alla comprensione anche dell’uomo della strada, direi. Perché non far esaminare questi reperti? Tutto sommato la sentenza definitiva è stata messa in cassaforte. Che paura c’è?».
Lei si è dato una spiegazione?
«Evidentemente c’è qualcosa che non va e lo sanno benissimo. Voglio essere molto chiaro: quel dna di ignoto 1 non è di Massimo Bossetti. Punto. Perché se uno (...)