"Caso camici", nuovi guai per Fontana: la Procura indaga anche per autoriciclaggio e false dichiarazioni
La vicenda risale alla prima fase dell’emergenza Covid, quando l’azienda del cognato prima vendette e poi donò, in parte, 75 mila camici. La Procura aveva già formulato come ipotesi di reato a suo carico anche quella di frode in pubbliche forniture
L’ombra del “caso camici” torna ad allungarsi sul presidente lombardo Attilio Fontana. Dopo la prima ipotesi di reato per frode in pubbliche forniture, la Procura di Milano ha formulato a suo carico anche quelle di autoriciclaggio e false dichiarazioni in merito alla voluntary disclosure dei fondi in Svizzera.
La notizia è riportata dai colleghi di PrimaSaronno. Il caso finito al centro dell’attenzione dei magistrati era stato sollevato da alcune inchieste giornalistiche e risale alla prima fase dell’emergenza Covid, quando in una Lombardia martoriata dai contagi la Regione faticava a trovare tamponi, dispositivi di protezione individuale e camici da destinare al personale sanitario.
All’epoca l’azienda del cognato di Fontana prima vendette e poi donò, in parte, 75 mila camici. Secondo la tesi avanzata dalla Procura, il passaggio dalla vendita per oltre 500 mila euro alla donazione sarebbe avvenuto proprio su pressione del governatore lombardo, che avrebbe subodorato l’attenzione dei giornalisti di Report sulla vicenda.
Il conto in Svizzera
Durante le indagini è emerso anche un conto riconducibile ad Attilio Fontana in una banca svizzera sul quale sono depositati 5,3 milioni di euro. Soldi che il presidente spiegava essere stati ereditati dalla madre, provenienti da due trust alle Bahamas e regolarizzati con la voluntary disclosure del 2016, possibilità concessa dal Governo per far riemergere fondi privati esteri.
La Procura di Milano però non ne è convinta e ha quindi inoltrato alle autorità svizzere una rogatoria per «completare la documentazione allegata alla domanda di voluntary disclosure, avendo necessità di approfondire alcuni movimenti finanziari».
Dietro l’ipotesi di autoriciclaggio ci sarebbe quindi il tentativo, bloccato dalle autorità bancarie, di bonificare 250 mila euro al conto svizzero al cognato. Una sorta di risarcimento per la mancata compravendita dei camici che non è andato a buon fine proprio per le norme dell’antiriciclaggio della Banca d’Italia che segnalarono l’operazione come sospetta.