Chiesa anglicana, le ultime svolte Da oggi ci sarà un vescovo donna?
Il nome del primo vescovo donna inglese si saprà, forse, già oggi, quando la regina Elisabetta confermerà le indiscrezioni riportate dai giornali nelle ultime ore, che vorrebbero un sacerdote di sesso femminile per la cattedra di Stockport, vacante dallo scorso marzo.
Ma se anche le conferme dovessero tardare ad arrivare, ormai da quattro settimane la Chiesa anglicana ha fatto il grande passo, dicendo sì ai vescovi donna: un mese fa il sinodo generale della Church of England cambiava infatti ufficialmente la sua legge canonica, aprendo per la prima volta all'episcopato per le donne, con una mossa che ha messo fine a quarant'anni di dispute legislative e a quasi un secolo di dibattito.
Le ultime importanti svolte (e diatribe). E a rileggere gli ultimi anni della Chiesa di Londra, un'istituzione di 77 milioni di fedeli concentrati per lo più in Inghilterra ma sparsi in tutto il mondo, si capisce quale importanza abbia tale svolta. Nel mondo anglicano si avverte sempre più stringente una divisione relativa alle scelte da prendere di fronte alle tematiche che la contemporaneità impone. Il ruolo delle donne è una di queste: nel '92 veniva concesso loro di accedere al sacerdozio cui ha fatto seguito, appunto, ora, l'episcopato.
Ancor più importante e attuale è la questione relativa alla linea da tenere di fronte agli omosessuali. Già nel 2010 Londra aprì senza particolari problemi all'episcopato per sacerdoti dichiaratamente gay: «La Chiesa anglicana non ha alcun problema a nominare vescovi persone omosessuali, purché siano rispettati tradizione e standard storici che impongono ai preti gay di restare celibi», disse all'epoca Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury e quindi leader della chiesa inglese, salvo poi rimangiarsi la parola un anno dopo. Quella svolta, però, portò all'emergere prepotente di una corrente "anglo-cattolica" interna a Londra, dalla quale in tanti si riavvicinarono alla Chiesa Cattolica di Roma.
Insomma, la Chiesa Anglicana giace su una faglia, come affermò il vescovo di Willesden Pete Broadbent nel 2012, in tempo di elezione del nuovo arcivescovo di Canterbury. Quando Williams lasciò la cattedra l'attesa era altissima per chi avrebbe preso il suo posto: sarebbe stato in grado di ricucire questi strappi e limitare le divisioni? Justin Welby, l'episcopo che ha preso il suo posto, sembra continuare la linea di apertura che l'istituzione ha tenuto negli ultimi anni di Williams. Quando lo scorso marzo il Paese approvò le unioni omosessuali, non arrivò da lui alcun rifiuto della nuova legge, e la svolta sull'episcopato femminile sembra essere un'ulteriore conferma della direzione sempre più "liberal" cui Londra sta andando incontro.
La crisi dei fedeli. Le crisi interne, con minacce di scisma e divisioni, s'aggiungono agli enormi problemi di fede che vive l'isola. Fu lo stesso Williams, ad aprile, a parlare di nazione «post-cristiana». I dati dicono che solo il 14% degli inglesi si considera cristiano praticante: gli altri vanno dall'essere "assolutamente non religioso" e "non praticante". «Post-Christian non significa per forza che non siamo cristiani. Vuol dire, piuttosto, che la memoria culturale è ancora fortemente cristiana. E, in un certo senso, la presenza culturale è abbastanza cristiana. Ma l'essere praticanti non è più dato per scontato da gran parte della popolazione».
Poco prima di lui c'era andato pesante anche Lord Carey, suo predecessore a Canterbury: «Siamo a una generazione dall'estinzione», mentre il reverendo Sentamu aveva individuato così il problema: «Abbiamo speso troppo tempo a ragionare su cavilli, mentre gli inglesi sono stati lasciati ad annaspare in mezzo ad assenza di significato, angoscia e disperazione». Forse, tra calo di fedeli e problemi di divisione, c’è una connessione ben più grande di quanto si pensi a Londra.