Ci siamo dimenticati dello Yemen dove gli jihadisti han messo radici

In Yemen sono 17 milioni le persone che soffrono di grave insicurezza alimentare, di cui quasi la metà sono sull’orlo della carestia. Da due due anni il paese è in guerra, diviso tra il governo sunnita sostenuto dalla coalizione araba capeggiata dall’Arabia Saudita, i ribelli sciiti Houthi e i terroristi sunniti di Al Qaeda.
Una situazione che è precipitata dal febbraio 2012 quando, dopo dopo 34 anni di governo, il presidente Ali Abdullah Saleh è stato costretto a lasciare l’incarico a causa delle pressioni della primavere arabe. Gli è succeduto Abdrabbuh Mansur Hadi, che si è trovato a fare i conti con una grande scarsità di risorse idriche e con l’estrema povertà nella quale versa la maggior parte della popolazione. Nel Paese era già presente una cellula di Al Qaeda, alle cui minacce si sono aggiunte le richieste degli Houthi, un gruppo di ribelli sciiti originari dello Yemen del Nord. Sono stati proprio loro, nel 2015, dopo una marcia verso la capitale Sanaa, a costringere con un colpo di Stato il presidente e il governo alla fuga. Hadi si è rifugiato nella città di Aden, dichiarandola capitale transitoria. L’Arabia Saudita è giunta allora in suo aiuto, mobilitando 150mila forze di terra per colpire le basi degli Houthi, mentre l’Onu ha imposto un embargo sulle armi dei ribelli, chiedendo loro di ritirarsi dalle zone occupate. La comunità internazionale si è schierata in toto con il presidente Hadi, tranne l’Iran, storico nemico degli Stati Uniti e dei Paesi della penisola araba. Della situazione hanno approfittato gli jihadisti, rafforzando la loro posizione nel Sud-Est del Paese. Lo scorso marzo, poi, anche le milizie dell’Isis hanno annunciato il loro arrivo in Yemen.




Gli Houthi hanno trasformato scuole, ospedali e moschee in centri operativi e depositi di armi, rendendoli obiettivi militari e facendo pagare un altissimo prezzo ai civili, colpiti dai raid della coalizione saudita così come dalle operazioni di Al Qaeda. Secondo le stime dell’Onu, infatti, dall’inizio del conflitto sono più di 7.600 i morti, di cui 4.900 civili, mentre più del settanta per cento delle popolazione ha bisogno di aiuti umanitari. Già prima della guerra, del resto, il paese importava il novanta per cento degli alimenti di base, una situazione resa drammatica dalla chiusura delle frontiere e dal blocco navale imposto due anni fa. I bombardamenti, inoltre, hanno distrutto quasi tutti gli impianti di produzione alimentare e tagliato i collegamenti tra campagne e città, rendendo incredibilmente difficoltosi gli aiuti umanitari. In quella che è stata da molti definita come una delle crisi umanitarie peggiori degli ultimi decenni, tante sono state le famiglie che hanno addirittura venduto le proprie figlie in cambio di cibo. A peggiorare la situazione è arrivata, a maggio, un’epidemia di colera che ha già fatto più di duemila morti, con circa trecentomila casi segnalati nel Paese, dove oltre due terzi della popolazione non ha accesso all’acqua potabile.
Grazie all’intervento dell’Onu, lo scorso aprile nel Kuwait si è aperto un tavolo per la pace, che non ha però fatto registrare grandi passi avanti. Se, infatti, il governo yemenita appoggiato dall’Arabia Saudita punta allo scioglimento del movimento degli Houthi e al ripristino dell’autorità del presidente Hadi, i ribelli sciiti non vogliono perdere la loro influenza nella zona. Così lo Yemen, uno dei Paesi arabi più poveri, continua ad essere devastato da una guerra tra le forze fedeli al governo e i ribelli sciiti. In due anni di conflitto nessuno ne è uscito vincitore, mentre il mondo sta a guardare e le milizie di Al Qaeda e dell’Isis approfittano della situazione per guadagnare influenza sul territorio.