Una crescita che vale 700 miliardi

La Cina rallenta, ma non si ferma

La Cina rallenta, ma non si ferma
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Era molto attesa nella giornata di lunedì 19 gennaio la conferenza stampa, a Pechino, di Ma Jantang, il direttore dell'Istat cinese. Questo appuntamento è quello che, annualmente, emette il verdetto definitivo sulla crescita dell’economia del Dragone, un’economia che da oltre 20 anni cresce inesorabilmente e ha messo in ginocchio più di un settore industriale dell’Occidente. E l’annuncio alla fine è giunto: il Pil cinese è cresciuto, nel 2014, di 7,4 punti percentuali, il livello più basso da 24 anni a questa parte, cioè dal +3,8% del 1990, quando Pechino scontava il contraccolpo delle sanzioni internazionali per la repressione della manifestazione di piazza Tienanmen nel 1989. Da quel momento, l’economia cinese era avanzata al ritmo del 10% l’anno, con la punta del 14% raggiunta nel 2007. Gli anni successivi, in concomitanza dello scoppio della crisi globale, il rallentamento ha portato al +7,7% ottenuto nel 2012 e nel 2013. Ora un altro piccolo calo dunque, anche rispetto agli obbiettivi che erano stati fissati da Pechino, che aveva annunciato un più 7,5%. È il primo fallimento dei contabili cinesi dal 1998 a oggi. Il 20 gennaio, a Davos, presso il World Economic Forum, il premier Li Keqiang incontrerà i rappresentanti delle principali economie mondiali. Non accadeva dal 2009, quando Wen Jiabao spiegò il pacchetto di stimolo da 586 miliardi di dollari con il quale Pechino rispose alla crisi internazionale.

 

Chinese workers assemble televisions at a factory of leading electronics producer Hisense

 

I problemi di Pechino. A noi italiani, una crescita di oltre 7 punti percentuali del Pil pare un miraggio, ma in Cina, come visto, significa invece un rallentamento di non poco conto. Pechino, del resto, era pronta: già nella scorsa primavera il presidente Xi Jinping aveva affermato: «Dobbiamo abituarci, questa è la nuova normalità economica». I problemi dell’economia cinese, però, son ben noti da tempo: la crisi che continua ad attanagliare molte economie occidentali ha portato ad un eccesso di capacità produttiva. Il settore immobiliare interno, che vale circa il 15% del Pil, è in costante e forte ribasso. Il Governo sta studiando da tempo un piano atto a riequilibrare l’economia, portandola a ritmi sostenibili, ma non è un lavoro facile, significa mutare totalmente un sistema che da 30 anni a questa parte è stato interamente improntato alla produzione a basso costo affidata a industrie altamente inquinanti e all’esportazione. L’unico modo di risolvere i problemi era riuscire ad aumentare consistentemente la domanda interna di beni di consumo, ma siamo ancora lontani dai livelli occidentali: da noi, il consumo interno vale circa il 70% del Pil medio di ogni Nazione, in Cina circa il 35%. L’obbiettivo dichiarato è raggiungere il 55%, ma non è certo semplice. E così, mentre l’inflazione interna continua a restare bassa, il Fondo monetario internazionale teme che Pechino possa manipolare nuovamente il corso della sua moneta, ribassando ulteriormente lo yuan, cosa che porterebbe a contraccolpi non indifferenti in tutte le economie globalizzate.

 

Chinese Premier Li Keqiang in Britain

 

L’altro lato della medaglia. Nonostante la situazione non sia rosea, in Cina ci sono comunque diversi lati positivi nell’attuale situazione economica che non vanno trascurati. Innanzitutto, il +7,4% del Pil del 2014, seppur inferiore dello 0,1% rispetto alle stime dei contabili statali, è comunque un risultato ben più positivo di quanto, nei mesi scorsi, avevano stimato ben 17 diversi economisti sulle pagine del Wall Street Journal. Secondo questi, la media di crescita del Pil cinese per l’anno appena conclusosi non sarebbe stata superiore al 7,2%. Non è un caso che dopo il crollo delle borse asiatiche del 19 gennaio, in attesa della conferenza stampa, il 20 gennaio le borse si siano aperte in rialzo. Inoltre, oggi, il Pil cinese, che è il secondo al mondo dietro a quello degli Stati Uniti, vale ben 10 trilioni di dollari. Ciò significa che il 7,4% è pari a 700 miliardi di dollari, tanto quanto valeva, nel 2007, il più 14% di crescita ottenuto: rallentamento sì, ma non calo drastico. Il premier Li Keqiang ha confermato che nei prossimi mesi continueranno le politiche di incremento delle spese delle famiglie cinesi. Queste continuano a risparmiare, dati alla mano, circa il 40% del loro reddito annuo, una cifra lontanissima al 5,2% degli Usa. Lo spazio per incrementare i consumi interni, quindi, c’è, anche se è chiaro che essendo decisamente più deboli il sistema pensionistico e quello di welfare cinese rispetto a quelli occidentali, le famiglie del Sol Levante continueranno a risparmiare molto di più. Ma se Pechino dovesse trovare il giusto equilibrio tra risparmio e spinta al consumo, la Cina riprenderà a volare e, questa volta, con margini di crescita decisamente più lungimiranti che in passato, perché potrebbe slegarsi, in parte, dall’andamento economico dell’Occidente e puntare, invece, sul consumo interno.

Al momento il Governo centrale ha escluso una ulteriore iniezione di denaro pubblico come stimolo all’economia, ma ha messo a bilancio ben mille miliardi di dollari in investimenti su infrastrutture, che “abbracciano” i settori del trasporto, dell’energia pulita, della sanità e dei gasdotti. Arriverà poi, verso la primavera, l’annuncio del nuovo obbiettivo di crescita del Pil per il 2015, che dovrebbe assestarsi sul +7%.

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