I 5 porti italiani messi in vendita e cosa non torna in bandi e offerte

Il Ministero del Tesoro ha messo in vendita cinque dei porti più belli d'Italia tramite una sua società, Invitalia. Il lido di Capri, quello di Portisco in Costa Smeralda, la marina di Arechi nel golfo di Salerno, il porto delle Grazie a Roccella Jonica in Calabria e il Porto Lido a Trieste potrebbero portare nelle casse dello Stato circa 50 milioni di euro. La mossa del Ministero è stata puntualmente paragonata a quanto è accaduto in Grecia, dove isole, porti e anche aeroporti sono stati privatizzati. Ma il caso italiano presenta già elementi che lo distinguono da quanto è accaduto ad Atene.
La società "Italia Navigando". Il progetto di vendita dei porti è stato preceduto da un'iniziativa diametralmente opposta. Una decina di anni fa, Invitalia aveva creato una società ad hoc, "Italia Navigando", preposta a gestire gli ingenti investimenti statali che sarebbero serviti per realizzare 50 porti turistici, da 50mila posti barca. Le zone interessante erano situate soprattutto nel Sud e comprendevano anche quelle che oggi sono coinvolte nell'operazione di vendita. L'obiettivo del Ministero era quello di promuovere e sviluppare il turismo e le attività commerciali legate al mare.
Il porto di Fiumicino. Nel 2010 a capo della società «Italia Navigando» è stato posto il leccese Ernesto Abaterusso, un ex deputato diessino. Ma la cronaca racconta che le cose non furono gestite magistralmente da Abaterusso e dalla società che ha presieduto. Mentre "Italia Navigando" è stata liquidata perché coperta da debiti, Abaterusso è stata iscritto nel registro degli indagati per un'altra vicenda “portuale”, cioè la costruzione del nuovo porto della Concordia di Fiumicino, peraltro anch'essa partecipata da "Italia Navigando", prima che chiudesse i battenti. L'enorme costruzione che prevedeva 1400 posti barca, da sostenersi con 400 milioni di investimenti, è costata un rinvio a giudizio da parte della procura di Civitavecchia, per abuso d'ufficio, frode e appropriazione indebita. A fare compagnia ad Abaterusso, tra gli indagati ci sono anche Domenico Arcuri, ad di Invitalia, e Manlio Cerroni, che gestisce la raccolta dei rifiuti a Roma.
Cosa accade a Roccella Jonica. Il recupero della vicenda ricordata è indispensabile per comprendere quanto sta accadendo ora. La messa in vendita dei cinque porti risponde a un pasticcio operato nel pubblico, ma pare che lo stesso tentativo di privatizzazione presenti non poche mancanze. Come osserva Andrea Ducci per il Corriere della Sera, il bando di Invitalia scadeva il 13 luglio: a partire da questa data, non si sarebbero accettate ulteriori offerte di acquisto. Il termine del bando è invece scalato alla fine del mese e intanto un'interrogazione parlamentare condotta a nome di Vincenza Bruno e Nicola Stumpo del Partito Democratico ha chiesto di interrompere il progetto. La dilazione della scadenza del bando, secondo i due politici, è servita ad Invitalia per introdurre delle modifiche nella procedura di vendita. Modifiche che sembrano piuttosto incongruenti, alla luce del progetto di privatizzare i porti: Invitalia, infatti, ha chiesto di riservare una quota del «31% a favore di enti e/o imprese pubbliche», riservata al solo Porto di Roccella Jonica. Non solo questo costituirebbe «una limitazione di acquisto ai privati», come hanno osservato Bruno e Stumpo, ma sarebbe anche una violazione del divieto di partecipazione pubblica per i Comuni con meno di 30mila abitanti, come Roccella. «Un corto circuito», scrive il Corriere, «tanto più considerato che Invitalia vende i porti motivando la scelta con l’obbligo di rispettare la norma che impone la dismissione delle partecipazioni societarie da parte degli enti pubblici».
L'iniziativa di Capri. Il ritorno del pubblico all'interno di una procedura di privatizzazione - situazione paradossale, ma tipicamente italiana, verrebbe da aggiungere - non si limita al caso del porto di Roccella Jonica. A Capri, ad esempio, è il Comune che vuole acquistare il 49 percento della partecipazione del porto. Se riuscisse nel suo intento, avrebbe la proprietà completa del porto, dato che detiene già l'altro 51 percento. La ragione dell'iniziativa del Comune? Pare che non desideri avere dei privati come soci.
Il paragone col Pireo. Ma la curiosa faccenda della privatizzazione, che in realtà è una rivendita al pubblico, non si esaurisce qui. Tra le offerte ricevute da Invitalia ci sono pure il municipio di Anacapri e una cordata con a capo Renato Marconi, ex socio di Invitalia. L'intera vicenda appare essere una riproposizione in veste parodica di quanto è accaduto con il Pireo in Grecia. Dopo lo stop alle privatizzazioni lanciato a gennaio, il governo ha provveduto a sbloccare la situazione chiedendo a tre società di mettere sul tavolo le loro offerte per il controllo del porto e ha mandato una delegazione a Pechino, principale interessato all'acquisto. Ovviamente non fa piacere a nessun affidare ad estranei il controllo di aree delicate quali sono quelle dei porti e ovviamente l'operato della Grecia si è svolto in un contesto di gravissima crisi. Ma quello che sorprende, nella situazione italiana, è che non c'è stato nemmeno un tentativo di fare marcia indietro. Si è semplicemente fatto in modo di sovvertire dall'interno il significato di un'operazione di vendita.