Col supporto del governo

La Coca-Cola in ritirata dall'India Ovvero, stan vincendo i contadini

La Coca-Cola in ritirata dall'India Ovvero, stan vincendo i contadini
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La Hindustan Coca-Cola ha annunciato la riorganizzazione delle sue ventiquattro società di imbottigliamento che operano in India, e di aver chiuso l'impianto di Kaladera, quello di Meghalaya e dell’Andhra Pradesh. Il provvedimento segue un’ordinanza del governo che dà ragione ai contadini, i quali da oltre dieci anni sostengono che la presenza della multinazionale statunitense abbia effetti deleteri sull’agricoltura locale. La Coca-Cola e la Pepsi Cola, infatti, sono state accusate di sottrarre risorse idriche, di occupare le terre delle comunità locali e di inquinare il terreno con le sostanze chimiche usate per fabbricare le bottiglie. I contadini sono stati sempre sostenuti da alcuni gruppi ambientalisti, come l’India Resource Center, guidata da Amit Srivastava.

 

 

Il precedente nel 2005. Finora la Coca-Cola ha sempre respinto le accuse, ma è stata costretta a ritirare molte domande di permessi per lo sfruttamento idrico delle falde acquifere. Nel 2005, del resto, la Coca-Cola aveva già calato le serrande su un impianto di imbottigliamento nel Kerala. Nel comunicato che aveva reso pubblica la decisione, la Coca-Cola non aveva spiegato il motivo della scelta, ma aveva affermato soltanto che «l’utilizzo dello stabilimento dipende dalla domanda del mercato e dalle sue proiezioni», lasciando intendere che la chiusura è dovuta a ragioni economiche e non legali. La società aveva inoltre aggiunto: «Se ci sarà un cambiamento nella domanda, potremmo usare la capacità di Kaladera in futuro». Non era stata fatta alcuna menzione, invece, della resistenza che la compagnia ha incontrato da parte degli attivisti e delle comunità locali. Anzi. Qualche mese fa, un portavoce della Coca Cola aveva persino affermato che non era giusto affermare che i livelli delle falde acquifere fossero calati a causa delle fabbrica di Kaladera, che è stata costruita nel 2000: «L’impianto usa una piccolissima quantità di acqua, attingendo a meno di un percento dell’acqua disponibile nella zona».

 

 

La decisione del governo. Un funzionario indiano, tuttavia, non concorda con le parole del rappresentate della compagnia. Ha infatti dichiarato che l’impianto di Mehdiganj, nello stato dell’Uttar Pradesh, ha infranto le condizioni della sua licenza, conducendo così alla sua chiusura. «L’impianto è stato chiuso su nostro ordine», ha affermato il segretario del Pollution Control Board dell’Uttar Pradesh, J.S. Yadav. «Gli abbiamo anche chiesto di prendere misure atte a rimpiazzare l’acqua del sottosuolo che hanno usato, per il doppio del volume». Nel frattempo, la Coca Cola ha fatto ricorso presso il National Green Tribunal, il tribunale per l’ambiente dell’India, ma non ha ancora rilasciato alcun commento sull’intera vicenda.

 

 

Una sfida imprevista. La chiusura degli impianti costituisce una delle difficoltà più impegnative per il ramo della società attivo in India, anche perché il Paese è il sesto mercato più grande per la multinaizonale. Nel 2012, la compagnia con base ad Atlanta aveva fatto sapere che aveva programmato di investire cinque bilioni di dollari nel Paese entro il 2020 e aveva dichiarato che la nazione sud-asiatica costituiva uno dei mercati privilegiati. Tuttavia, le difficoltà della burocrazia, l’opposizione delle comunità e gli scontri con i contadini hanno costretto la compagnia a fare marcia indietro. Senza darsi per vinta, l’anno scorso la Coca Cola aveva proposto di investire 5 bilioni di rupie, circa 73 milioni di dollari, per costruire uno stabilimento nel Tamil Nadu, ma non ci era riuscita. I contadini temevano però che l’impianto avrebbe inquinato le falde acquifere e hanno così impedito al progetto di decollare. Nel complesso, pare proprio che l’India costituisca una sfida più grande di quanto il gigante americano abbia mai pensato.

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