«La colpa è dei migranti, non tua» La tragedia vista dagli scafisti
Un gommone con 80 dispersi di cui si sono perse le tracce ed i 45 migranti morti soffocati, stipati come bestie in un peschereccio trasportato a Pozzallo (RG) dalla marina: sono solo le ultime due tragedie di un dramma senza fine, quello degli sbarchi di immigrati sulle coste siciliane. Ma il viaggio della morte che più è rimasto impresso nella mente di tutti è stato quello del 3 ottobre 2013, in cui 366 tra uomini, donne e bambini persero la vita nelle acque al largo di Lampedusa. Oggi, sui fatti avvenuti in quel tragico giorno, si sa qualcosa in più grazie al lavoro della Squadra Mobile di Palermo che martedì 1 luglio ha reso noti i risultati dell’indagine. L’operazione, denominata “Glauco”, ha avuto un’importante svolta nel momento in cui gli investigatori sono riusciti ad avere finalmente chiaro il quadro di una delle organizzazioni criminali più potenti per quanto riguarda il traffico di esseri umani, grazie soprattutto ad oltre 30 mila intercettazioni telefoniche tra i membri della banda. Per gli scafisti fu solo un incidente di percorso quello avvenuto il 3 ottobre 2013, qualcosa che non potevano prevedere.
Ecco cosa si dicevano al telefono il 31 ottobre 2013, appena tre settimane dopo la strage, John Maray, sudanese, ed Ermies Ghermay, etiope, ritenuti due figure di vertice all’interno dell’organizzazione criminale ed entrambi irreperibili.
La ricostruzione di quella tragica notte. «Inshallah! Così ha voluto Allah!» dice John al “collega”. Sembra essere lui l’uomo che conta di più tra i due, il più esperto. Ermies invece risulta essere l’organizzatore materiale della traversata finita in tragedia. «Volevano partire tutti, mi rompevano. Io volevo fare due viaggi, ma loro insistevano che volevano partire tutti. Sono stato costretto», dice Ermies per giustificare la presenza di tante persone su di un’unica imbarcazione, dopo che John l’aveva amichevolmente rimbrottato spiegandogli che «serve più prudenza, non possono essere imbarcate più di 250 persone per barca». Poi però John sembra ammorbidire la propria posizione, giustificando Ermies Ghermay: «Quando si fa un viaggio vanno rispettati diversi fattori: innanzitutto assicurarsi sulle condizioni del mare, che non sia prevista tempesta, e poi mai far lamentare i migranti. Noi organizzatori siamo i responsabili. Capita che molti migranti non vogliano dividersi e così li si accontenta caricandoli sulla stessa barca….». Ermies poi si lamenta, perché «tanti migranti sono diventati cibo per pesci con altre organizzazioni e nessuno ne ha mai parlato». L’organizzatore della tragica traversata è preoccupato, si capisce dalle parole che dice all’amico, più giustificazioni che spiegazioni: «La barca era giusta, la gente ci stava ma non capiva che poteva sedersi dove voleva. Si sono spostati tutti nello stesso posto ed hanno sbilanciato la barca. Questo naufragio è stato troppo eclatante, mi stanno incolpando tutti solo perché non avevo dato un giubbotto di salvataggio ad ognuno dei migranti….». John lo capisce, e dall’alto della maggior esperienza lo tranquillizza: «I miei viaggiatori li tratto sempre bene, do loro da mangiare bene. Ciò però non vuol dire che si salveranno. E’ solo il destino che decide, Allah decide».
«La colpa è dei migranti, non tua». Queste parole stonano con le testimonianze di chi quei viaggi li ha fatti realmente, di chi con quelle persone ci ha avuto a che fare. Lo spiega il capo della Squadra Mobile di Palermo, Calvino: «Le testimonianze parlano di torture brutali, con manganelli o scariche elettriche. Chi si ribellava veniva incaprettato. Le donne venivano invece stuprate in continuazione e quelle che non potevano pagare il viaggio, uccise». Nei dialoghi intercettati, John Maray e Ermies Ghermay però non parlano mai di questi fatti, quanto piuttosto di un somalo che «sequestrava i migranti diretti in Libia e stuprava le donne». Il somalo in questione sarebbe Muhidin, arrestato il novembre scorso e membro delle milizie del deserto che assaltavano le carovane di migranti diretti a Tripoli per la traversata, rapendo più persone possibili per poi farsi pagare dalle famiglie. Una volta ottenuto il riscatto le persone venivano liberate e portate finalmente a Tripoli, non prima di svariate torture e stupri. Una volta lì, era nuovamente l’organizzazione di cui facevano parte Maray e Ghermay ad entrarne in possesso per poter organizzare la traversata. «Le persone vanno picchiate, o comunque consigliate. Non lo fai per fargli male, ma per il loro bene, per aiutarle» dice John ad Ermies, che continua a giustificare la presenza di tante persone su di una stessa imbarcazione. «La gente in Libia ora capirà, Tu non potevi fare nulla, hai fatto ciò che dovevi. Era il loro destino, erano arrivati oramai. La colpa è la loro che sono voluti partire in tanti senza ascoltarti, non tua. Il capitano non doveva bruciare il lenzuolo. Ormai è successo, concentrati sul tuo lavoro» rincuora Ermies John Maray, prima di chiudere la telefonata.
L’organizzazione in Italia. Calvino ed il Procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia hanno fatto luce anche sul lato dell’organizzazione presente sul territorio italiano, quella avente il compito di fornire “assistenza” ai migranti giunti sulle coste italiche. Nove sono i decreti di fermo emessi, cinque gli avvisi di garanzia notificati. Documenti falsi, matrimoni organizzati con italiani disposti a vendersi per 7 mila e 500 euro offrendo così l’opportunità burocratica del ricongiungimento familiare. Un passaporto per Malta può arrivare a costare fino a 2 mila euro. Queste erano le indicazioni di Shemshedin, l’uomo dell’organizzazione a Roma, che al telefono con un’amica diceva: «L’America è dove si fanno i soldi e la mia America è qui». C’è chi ha trovato l’America e chi, per colpa di questi, ha trovato solo la morte.