Una storia che poteva finire in tragedia si è trasformata in un esempio virtuoso di come la preparazione e la presenza di dispositivi salvavita possano fare la differenza tra la vita e la morte. È successo lo scorso 24 settembre alla bocciofila di Ciserano, dove Giuseppe Raimondi, 84 anni, è stato strappato alla morte grazie all’intervento di tre frequentatori del circolo e alla disponibilità di un defibrillatore.
La ricostruzione
Come riportato dai colleghi di Prima Treviglio, l’anziano si era recato come ogni giorno alla bocciofila quando ha accusato un malore. Nel giro di pochi istanti la situazione è precipitata: un infarto in piena regola. Mentre qualcuno chiamava il 112, tre persone presenti nel circolo hanno dato vita a una catena di soccorso perfetta.
Divisi i compiti in modo naturale: uno ha iniziato le compressioni toraciche, un altro la respirazione artificiale, il terzo è corso a recuperare il defibrillatore automatico esterno di cui fortunatamente la struttura disponeva.
Guidati al telefono dagli operatori del numero unico d’emergenza, i tre hanno mantenuto in vita Giuseppe fino all’arrivo dell’ambulanza che lo ha trasportato d’urgenza al Policlinico San Marco di Zingonia. Qui l’84enne è rimasto ricoverato per due settimane prima di poter fare ritorno a casa.
«Serve più sensibilizzazione»
«I medici sono stati chiari: senza quell’intervento immediato il nonno non avrebbe avuto scampo» raccontano le nipoti Camilla e Martina, che il giorno successivo all’accaduto si sono presentate alla bocciofila per abbracciare e ringraziare i tre soccorritori, tutti frequentatori abituali ma residenti fuori dal paese.
Dalla paura vissuta è nato però un proposito preciso: sensibilizzare la comunità sull’importanza della formazione al primo soccorso. «Ci iscriveremo ai corsi quanto prima – spiegano le ragazze – Vogliamo che questa vicenda serva da esempio: sapere come intervenire può davvero salvare una vita. Per fortuna Ciserano è dotato di numerosi defibrillatori – in oratorio, nelle scuole, in Comune – ma è fondamentale che le persone sappiano usarli».
Giuseppe oggi è a casa, in fase di recupero. Una seconda possibilità di vita che deve a tre “angeli” e a un piccolo dispositivo che ha fatto una grande differenza.