Quante volte è cambiata la maturità
Tra i cambiamenti realizzati e quelli soltanto annunciati, la scuola italiana ha subito molte trasformazioni, dal 1968 a questa parte. Così tante che si dovrebbe pensare di avere, oggi, un comparto dell’istruzione solido e funzionale. E invece. La scuola è cambiata, i problemi sono rimasti gli stessi, esattamente come il cosiddetto “sistema Paese”: non si può non trarne la conseguenza che, evidentemente, le misure introdotte non hanno saputo centrare gli obiettivi o, se l’hanno fatto, non hanno avuto l’efficacia necessaria.
In questi giorni, il ministro Giannini ha annunciato che, a partire dall’anno 2014/2015, la maturità dovrà essere strutturata in modo da colmare il divario che separa la scuola dal mondo del lavoro. Ad esempio, dando maggiore spazio, durante la prima prova, al saggio breve, rispetto al tema di letteratura e storia che, dice il ministro, mal corrisponde agli orientamenti attuali degli studenti. Ha inoltre affermato che verranno ripresi gli indirizzi della riforma Gelmini, la quale già aveva insistito sulla necessità di promuovere attività di stage e tirocinio sul territorio.
La storia tormentata dell’esame di maturità inizia nel 1968, con una riforma che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere transitoria, il trampolino di lancio per ulteriori interventi. In realtà, è rimasta attiva, e immobile, per ben trent’anni. Prima del 1968, anno memorabile per ragioni ben note, gli studenti della scuola secondaria dovevano sostenere un esame su tutte le materie di studio, con scritti e orali. La riforma ridusse drasticamente il carico di lavoro, limitandolo a due gli scritti e a due le materie oggetto di esame, tra una scelta di quattro, di cui una a scelta dello studente. Nel 1969 fu poi liberalizzato l’ingresso all’università: il liceo classico non fu più l’unico ad aprire le porte di ogni facoltà. Dal 1968 ai primi anni Novanta si tentò più volte di modificare la riforma, ma vanamente e l’unico intervento che fu realizzato peggiorò la situazione. Il Ministro d’Onofrio, del primo governo Berlusconi, abolì infatti gli esami di riparazione, introducendo il sistema dei debiti formativi: gli studenti avrebbero potuto essere promossi, e arrivare alla maturità, anche con delle insufficienze, purché “non gravi” e in un numero di materie lasciato alla descrizione del corpo docente.
Nel 1999 si approvò – con molte difficoltà, e molto lentamente - la riforma storica, introdotta dal ministro Berlinguer, il quale disse che la maturità sarebbe diventata una cosa seria. Fin dal nome: la maturità sarebbe diventata l’ “esame conclusivo”. Ci sarebbero state tre prove scritte, il voto sarebbe stato espresso in 100esimi: 45 il punteggio per gli scritti, 35 per l’orale, a cui sarebbero stati aggiunti 20 crediti, assegnati agli studenti in base all’impegno dimostrato nell’ultimo triennio. La commissione, di otto membri, sarebbe stata formata per metà da commissari interni e per metà da commissari esterni, più il presidente di commissione, esterno. Nel 2002 Letizia Moratti, allora ministro dell’istruzione, introdusse una modifica che andava di pari passo con la Finanziaria di Giulio Tremonti, ministro dell’economia: le commissioni sarebbero state composte soltanto da professori interni. L’intervento era mirato a tagliare i costi della maturità, ma sollevò un gran putiferio negli ambienti scolastici. Una commissione interamente interna, si obiettò, avrebbe reso gli esami finali soltanto una formalità.
Nel 2008, giunse la Riforma Fioroni, che riportò la commissione mista. Introdusse lo scrutinio finale, attraverso cui gli studenti sarebbero stati ammessi agli esami e richiese il saldo, obbligatorio, dei debiti formativi. I privatisti avrebbero dovuto sostenere un esame preliminare e avrebbero potuto sostenere la maturità soltanto nella città di residenza. Chi avesse voluto invece sostenere la maturità al quarto anno, avrebbe dovuto presentare una media di 8/10 nel penultimo anno e di 7/10 per l’ultimo triennio. La seconda prova scritta, per gli istituti professionali e artistici, avrebbe dovuto avere una connotazione più tecnica. Il ministro Fioroni intervenne anche sulla distribuzione del punteggio, abbassando a 30 la votazione massima del colloquio finale e alzando a 25 i punti del credito scolastico. Infine, esortò le scuole a organizzare percorsi di orientamento per aiutare gli studenti nella scelta dell’università.
Soltanto l’anno seguente, con il cambio di governo, comparve lo spauracchio della riforma Gelmini. Attivata per il 2010/2011, sarebbe dovuta entrare in pieno regime proprio durante l’entrante anno scolastico, 2014/2015. Nonostante i profondi interventi che avrebbe comportato, soprattutto dal punto di vista della ristrutturazione della scuola secondaria (meno ore di lezione, tagli nelle materie di indirizzo, insegnamento dell’inglese fin dal primo anno), la riforma non avrebbe toccato le modalità di svolgimento della maturità. L’unico cambiamento sarebbe stato il voto di condotta, che sarebbe tornato a fare media. Dopo la Gelmini, Brunetta, che nel 2012 non era ministro dell’Istruzione, ma della Funzione pubblica. Il quale si vantò, in più occasioni, di avere mandato a segno il sistema della PEC, la Posta Elettronica Certificata, con cui furono spediti i plichi con le prove della maturità, facendo così risparmiare allo Stato 240 mila euro.
Da allora il governo italiano è stato troppo impegnato a rimpastarsi, per pensare di investire (energia, è chiaro, mica soldi) nell’istruzione. Ora abbiamo il ministro Giannini, che sta lavorando per il restyling, della maturità e della scuola. Speriamo (in bene).