Cosa ha detto il poliziotto che uccise Michael Brown
In un'intervista rilasciata in esclusiva al canale ABC News, il poliziotto Darren Wilson, che lo scorso 9 agosto uccise il 18 enne di colore Michael Brown, ha "rotto il silenzio" e ha raccontato, dal suo punto di vista, gli avvenimenti che quella notte l'hanno indotto a sparare. L'intervista è stata condotta dal giornalista e membro del partito democratico americano George Stephanopoulos, che l'ha introdotta con queste parole: «Darren Wilson ha risposto a ogni domanda e abbiamo fedelmente ripercorso, step dopo step, quello che successe in quei momenti. Ha detto che Michael Brown stazionava in mezzo alla strada, sulla linea gialla, e gli chiese di spostarsi. Brown non si mosse, così il poliziotto parcheggiò la macchina al suo fianco. Questo è quello che successe dopo». Di seguito la trascrizione dell'intervista. «Aprii la porta e uscii dalla macchina, e nel momento in cui stavo uscendo dissi: “Hey, vieni qui un minuto”. Lui si girò e mi disse: “Cosa cazzo vuoi fare?”, e sbattè la portiera della mia macchina».
«Sbattè la portiera?»
«Sì. Usai la portiera per cercare di spingerlo indietro, e gli urlai di fare un passo indietro, e ancora mi sbattè la portiera e stette lì in piedi davanti a me. E quando lo guardai di nuovo iniziò a far volare i pugni».
«Ti tirò lui il primo pugno?»
«Sì. Mi tirò lui il primo e mi colpì sul lato sinistro della faccia».
«Perché alcuni dei testimoni hanno riferito che tu eri intento a volerlo tirare dentro la macchina».
«Sarebbe stato contro ogni procedura mai insegnata a qualsiasi funzionario della legge. Non so cosa o quanto mi colpì ancora, dopo quel primo pugno, so solo che poi c’è stata una raffica di oscillazioni tra l’afferrare e il tirarsi, che è durata circa 10 secondi».
«E poi?»
«Ho tirato fuori il braccio destro dal finestrino cercando di afferrare il suo avambraccio, perché stavo cercando di smuoverlo così che potessi uscire dalla macchina di modo da non essere più intrappolato, ed è lì che ho realizzato quanto fosse forte fisicamente. Era come se un bambino di cinque anni cercasse di afferrare Hulk Hogan. Era un uomo veramente enorme...»
«Hulk Hogan?»
«Era molto grosso, un uomo molto potente».
«Tu sei un ragazzo abbastanza grosso».
«Sì, sono sopra la media».
«Così hai cercato di afferrarlo ma hai sentito quanto era forte».
«Sì. E mentre lo trattenevo ho visto che stava alzando il braccio sinistro, e chiudendo il pugno mi ha colpito alla parte destra del volto».
«E questo mentre tu cercavi ancora di capire come uscire da quella situazione».
«Sì. La cosa a cui ho pensato è: come faccio a sopravvivere?»
«Come faccio a sopravvivere?»
«Sì, non sapevo se avrei retto a un altro colpo come quello».
«Dov’era la tua pistola?»
«La tenevo sul mio lato destro. La estrassi e gliela puntai, e gli dissi “Fai un passo indietro o ti sparo”. E la sua risposta, immediatamente, fu quella di impugnare l’estremità della mia pistola e dirmi “Sei troppo (parolaccia) per spararmi”. E mentre lo diceva potevo sentire la sua mano che cercava di risalire la mia per trovare il grilletto, per cercare di spararmi con la mia pistola. E quello è stato il monento in cui ho sparato per la prima volta».
«Cosa è successo a quel punto?»
«Il proiettile non uscì. La pistola era bloccata dalla sua mano che la impugnava sull’estremità, così provai di nuovo, e fece di nuovo solo “click”. E in quel momento ho pensato: deve funzionare o sarò morto. Lui mi strapperà questa pistola di mano, qualcosa succederà, e io morirò. Così ho premuto il grilletto per la terza volta, e il colpo è partito».
«Quella è stata la prima volta che hai usato la pistola, giusto?»
«Sì, è stata la prima volta».
«E poi cosa è successo?».
«Si è arrabbiato ancora di più. La sua aggressività, il suo volto, la sua intensità crebbero, e tornò ancora verso di me. Non lo stavo più guardando, ero come stordito dal frastuono, e mi aspettavo un altro colpo da parte sua. Allora ho alzato la mia pistola pronto a fare fuoco. Poi sono sceso dalla macchina, e mentre scendevo ho usato il mio walkie-talkie: “Sparati dei colpi: mandate altre macchine”. E ho iniziato a inseguire Michael Brown».
«Perché non sei rimasto in macchina e l’hai lasciato scappare?»
«Perché lui non è... Il mio lavoro non consiste nello stare seduto e aspettare. Sai, dovevo vedere dove stava andando».
«Pensavi che fosse tuo dovere inseguirlo».
«Sì, lo era. È ciò che siamo addestrati a fare».
«Così si è allontanato dalla macchina, a 10-15 metri, e tu hai potuto uscire dalla macchina. Hai iniziato a inseguirlo. E poi? Si è fermato?»
«Si è fermato».
«Perché?»
«Si è fermato, si è girato e mi ha fronteggiato. E quando si fermò mise la sua mano destra nella cintura mentre nella sinistra continuava a stringere un pugno, e iniziò a caricarmi».
«Cosa hai pensato quando hai visto quello che stava succedendo?»
«Non sapevo... Il mio primo pensiero è stato: “nasconde un’arma lì sotto”?»
«Anche se non aveva estratto niente quando vi eravate precedentemente confrontati».
«Sì, ancora non lo sapevo. E gli dissi: “fammi vedere le mani”»
«Alcuni testimoni hanno detto che quando si girò alzò le mani in vista».
«Non è andata così».
«In nessun modo?»
«In nessun modo».
«Hai detto che lui ha iniziato a correre, finché si è fermato e ti ha fronteggiato, e poi?»
«A quel punto ho pensato: posso sparare a questo ragazzo? Posso farlo legalmente? E la risposta che mi sono dato è stata: devo farlo, se non lo faccio mi ucciderà quando mi raggiunge».
«Anche se a quel punto era a 10 o 15 metri di distanza?»
«Quando ha iniziato a camminare nella mia direzione ho pensato... Se non si è ancora fermato, dove ha intenzione di fermarsi? Mentre si stava avvicinando ho deciso di sparargli, e gli ho sparato una serie di colpi e poi mi sono fermato».
«Cosa hai visto a quel punto?»
«Ho notato che l’avevo colpito almeno una volta, non vidi dove, ma mi accorsi che il suo corpo era rimbalzato indietro un poco, Poi gli urlai di fermarsi e stendersi a terra: "dammi l’opportunità di fermarmi". Lui ignorò il comando e continuò a correre. E a quel punto sparai un’altra serie di colpi. Almeno uno di quelli lo colpì perché lo vidi indietreggiare. Questa volta era a cinque metri da me. Così iniziai a fare marcia indietro, perché stava arrivando troppo vicino e non si fermava. È arrivato a tre metri di distanza, e iniziò a piegarsi in avanti come se mi volesse placcare. Guardato in basso alla canna della mia pistola e sparai. E quello che vidi era la sua testa, ecco dove lo avevo colpito».
«Proprio in testa».
«Sì».
«Non avevi mai sparato prima con la tua pistola. Ora un uomo è morto».
«Dopo che arrivò il mio superiore, gli dissi brevemente che cos’era successo».
«Cosa gli hai detto?»
«Gli ho detto che avevo dovuto sparare a qualcuno. E gli ho detto che aveva tentato di afferrare la mia pistola e mi aveva sfidato, e che aveva intenzione di uccidermi».
«Così l’hai ucciso per primo».
«Sì».
«C’è stato qualcosa che avresti voluto che fosse andato diversamente? Qualcos'altro invece che l’uccisione».
«No».
«Niente?»
«No».
«E sei assolutamente convinto, quando guardi attraverso il tuo cuore e la tua mente, che se Michael Brown fosse stato bianco tu avresti agito allo stesso modo?»
«Sì».
«Senza dubbio?»
«Senza dubbio.
«Tu e tua moglie... Non so se questa domanda è appropriata, ma qual’è il vostro sogno andando avanti?»
«Una vita normale. Tutto qui».
«Penso che sia difficile avere una vita normale dopo che qualcuno rimane ucciso. Non pensi sia qualcosa che ti rimanga addosso?»
«Non penso che rimanga... Penso sia qualcosa che è successo».
«Ti senti la coscienza davvero pulita». «Non avrei la coscienza pulita se non avessi fatto il mio lavoro nel modo giusto».