Le analisi anglo-statunitensi

Cosa sta combinando El Niño (c'entra con il freddo che verrà)

Cosa sta combinando El Niño (c'entra con il freddo che verrà)
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Hanno allarmato un po’ tutti, con le previsioni di freddo pungente e neve a bassa quota, però è bene non lasciarsi impressionare dalle condizioni contingenti. Le statistiche, infatti, parlano molto chiaro. Ottobre 2015 è stato veramente caldo, troppo. A seconda della zona geografica, è stato il più mite degli ultimi sessant’anni o degli ultimi 130 anni. Le stagioni procedono un po’ a balzelloni, sembra che non obbediscano più al ciclo naturale. Sono gli effetti evidenti, e tangibili, del surriscaldamento globale. E dell’andamento anomalo di El Niño.

 

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Cosa ha combinato El Niño. Il National Oceanic and Atmospheric Administration e il Metoffice, due importanti enti metereologici, rispettivamente, statunitense e inglese, hanno riscontrato che in ottobre El Niño ha raggiunto un’intensità pari a 3,4, sulla scala speciale che ne misura la forza. Nel 1997, anno in cui la sua influenza sul clima è stata notevole, era di 2,8. Cioè, molto di meno. In effetti, le conseguenze dell’anticiclone sono già sotto i nostri occhi. Il mese scorso la Danimarca ha avuto il mese più secco dal 1972, in Lituania è stato il più secco da quando si registrano dati meteo, in Africa centrale è stato il più caldo, i ghiacciai dell’Artico sono diminuiti del 13,4 percento, mentre quelli dell’Antartico sono cresciuti del 1,2 percento. E non finisce qui: rispetto alla media dell’ultimo quarto di secolo, Cile e Argentina sono stati più freddi, fino a 3 gradi in meno, Australia e America del Nord-Ovest sono più calde di 3 o 4 gradi, mentre Russia e Giappone sono diventati più freddi di un paio di gradi.

Come nasce e come agisce. El Niño, il “bambino”, è stato chiamato in questo modo perché ha il suo massimo in Sud America, dove si manifesta nel periodo natalizio. Nasce in seguito all’aumento della temperatura in grandi aree dell'Oceano Pacifico, soprattutto localizzate nella parte equatoriale. Compare periodicamente, con un intervallo che va dai tre ai sette anni. Dopo essersi formato, dura dai nove ai quindici mesi e registra un picco di intensità a ottobre e a marzo. Quando si manifesta, le temperature dell’Oceano Pacifico meridionale aumentano, il vento diminuisce e cambia direzione. L’acqua dell’Oceano, in questo modo, fluisce più lentamente verso le Americhe e si raffredda meno velocemente, in superficie. L’enorme massa d’acqua conserva perciò una riserva di calore eccesiva, la quale surriscalda l’atmosfera e incide, in ultima analisi, sull’andamento climatico globale.

 

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[Fonte: Nasa]

 

Cosa provocherà in futuro? È probabile che El Niño porterà in Europa un inverno più freddo e nevicate più abbondanti, specialmente nel Regno Unito e negli altri Paesi del nord. Negli Stati Uniti avremo caldo a ovest, dalle parti della California, e freddo a est, dove si trovano New York e New Jersey. Aumenta, inoltre, il rischio di tornado, di inondazioni in alcune parti del mondo e di siccità in altre. In ogni caso, gli esperti invitano a prendere queste previsioni con la dovuta prudenza: El Niño è piuttosto imprevedibile. Quel che è certo, è che riduce la clorofilla, cioè il fitoplancton, che galleggia sulla superficie dell’Oceano. Ciò ha ripercussioni serie sulla vita degli organismi marini, dato che le piccole alghe costituiscono l’anello più basso della catena alimentare oceanica.

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