Tra elezioni e colera...

Cosa sta succedendo in Zimbabwe

Cosa sta succedendo in Zimbabwe
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Ci è voluto un colpo di stato per mettere fine alla dittatura di Robert Mugabe, novantaquattrenne spesso considerato il liberatore nazionale dello Zimbabwe, dopo la lunga guerra che portò la colonia della Rodesia del Sud a diventare, lasciandosi alle spalle quasi un secolo di dominio britannico, una repubblica. Autocrate al potere per quasi quarant’anni, Mugabe è stato destituito dall’esercito, che ha agito anche sulla base di alcune – poco sagge – decisioni prese dal vecchio leader, prima fra tutte quella di lasciare il potere nelle mani della seconda moglie, Grace, soprannominata “Grace Gucci” per la sua passione per i marchi di moda. Questa investitura data a una persona totalmente priva delle qualità e delle competenze necessarie alla carica che le veniva affidata ha innescato una reazione che ha portato alla destituzione dello stesso Mugabe e all’indizione di elezioni presidenziali, che si sono svolte lo scorso luglio.

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"Gucci Grace", la moglie di Mugabe

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Il nuovo presidente Emmerson Mnangagwa

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Nelson Chamisa, capo del Movimento per il Cambio Democratico.

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Morgan Tsvangirai, leader e fondatore del Movimento per il cambiamento democratico (Mdc) recentemente scomparso.

Il nuovo presidente, Emmerson Mnangagwa, è arrivato al potere a 76 anni dopo aver battuto un leader giovane, Nelson Chamisa, in un'elezione molto contestata. Il quarantunenne eletto a capo del Movimento per il Cambio Democratico si era presentato in campagna elettorale come la voce dei giovani, il segno del passare dei tempi e della necessità dei vecchi politici di farsi da parte. Come spesso succede, però, la classe dirigente e il vecchio establishment non si sono lasciati scalzare. «Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima» (cit.), insomma. La società patriarcale dello Zimbabwe non sembra affatto pronta a lasciarsi mettere da parte da un manipolo di cittadini immaturi, quegli stessi che, secondo molti esponenti del partito al potere, dovrebbero essere esclusi da possibili candidature alla Presidenza con un provvedimento che vorrebbe innalzare l’età minima necessaria per candidarsi, andando oltre i quarant’anni attualmente richiesti. La società africana sembra essere così condannata a restare patriarcale, anche se la maggior parte della popolazione è giovane, con un’età media di vent’anni. Quello che ne risulta è un conflitto tra cultura, politica e tradizione, con il rischio (sempre più ricorrente) che quegli stessi giovani che per anni hanno militato come rivoluzionari, appena raggiunta una qualche vittoria a livello politico entrino subito nel governo, andando a ricoprire una carica che fa poi di loro un perfetto esempio di cooptazione nell’ancien regime.

 

 

Quello che era successo in Zimbabwe era stato, prima che Emmerson Mnangagwa prendesse il potere, diverso. Il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc), lo storico partito di opposizione, era riuscito a proporsi come un’alternativa plausibile nel contrastare il potere di Mugabe per vie democratiche, forte anche della figura del leader e fondatore Morgan Tsvangirai, recentemente scomparso. Dopo delle elezioni sorvegliate da migliaia di osservatori stranieri è stato però l’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa a prendere il potere: il vecchio braccio destro di Mugabe ha battuto il simbolo del cambiamento democratico. E così, mentre il Paese cade ora nell’ennesima crisi economica che sta rapidamente eliminando le disponibilità di beni di prima necessità e di carburante, l’epidemia di colera che da tempo si è propagata ha portato a decine e decine di casi, tanto che il Governo centrale ha richiesto la chiusura di molti spazi utilizzati dagli ambulanti. Come troppo spesso succede, anche per lo Zimbabwe il rinnovamento della classe politica e dell’establishment sembra essere, nonostante la destituzione del vecchio leader, molto lontano.

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