Cose da sapere sul virus Zika Dai sintomi ai soggetti a rischio
Da ottobre 2015 il Brasile è alle prese con un patogeno che, in questi giorni, sta conquistandosi una popolarità di cui avremmo certamente fatto a meno. Si tratta del virus Zika, diffusosi appunto nel Paese carioca, ma che si sta facendo velocemente strada in molti altri Stati del Sudamerica e caraibici e che, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, presto arriverà anche negli Stati Uniti. Ad ora sono stati rilevati 4 casi anche in Italia, tutti in persone di ritorno da un viaggio in Brasile. Si tratta di una malattia che, fino a qualche tempo fa, era praticamente sconosciuta e per la quale non esiste cura o vaccino.
I sintomi. Sebbene l’allarme mediatico sia elevato, in realtà i sintomi di questa malattia sono ben lontani a quelli letali di altri patogeni, ultimo il virus Ebola, con cui il mondo intero ha dovuto fare i conti nell’ultimo biennio. Il virus Zika è trasmesso da zanzare tropicali e subtropicali (le stesse che veicolano anche dengue e febbre gialla), e, con minore efficacia, dalla zanzara tigre. Stando alle stime fino ad ora raccolte, soltanto un quinto delle persone infettate si ammala effettivamente e solitamente tutti se la cavano con i classici sintomi dell'influenza: febbre, eruzioni cutanee, dolori alle articolazioni, arrossamento degli occhi. Il tutto dura tra i 2 e i 7 giorni e quasi mai è necessario un ricovero in ospedale. La vera preoccupazione è legata a una scoperta fatta dalle autorità sanitarie brasiliane: nel caso di donne in stato di gravidanza si sospetta che la malattia possa portare a malformazioni del feto. Nello specifico, l’infezione sarebbe correlata a un inquietante aumento dei casi di microcefalia nei neonati, ovvero una riduzione nella crescita di cranio e cervello con conseguenti gravi problemi neurologici.
Le preoccupazioni. Il virus Zika, quindi, sarebbe pericoloso per le donne in gravidanza e per la salute del futuro bambino. Il condizionale è però d’obbligo, perché il legame tra il patogeno e i casi di malformazioni del feto non è stato ancora scientificamente provato. L’unico dato su cui ci si basa è quello statistico, che dimostra una impennata dei casi di microcefalia tra i neonati in concomitanza alla comparsa del virus in Brasile: negli ultimi 3 mesi i casi riscontrati sono quasi 4mila, ben il 2.500 percento in più rispetto a quelli di un anno fa, quando i casi si erano fermati, nello stesso periodo di tempo, a quota 150. I medici di Pernambuco, i primi a dare l’allarme, hanno motivato la loro teoria sottolineando come nessuna delle cause ad oggi note per lo sviluppo ridotto di cranio nel feto, ovvero l’uso di alcol e droghe in gravidanza, la rosolia, anomalie genetiche o l’esposizione ad alcune sostanze chimiche, basta a spiegare questi dati. Una prima conferma a questa tesi è arrivata dagli studi di alcuni esperti americani del Centres for Disease Control and Prevention giunti in Brasile per compiere ulteriori analisi: tracce del virus sono state rinvenute in feti con microcefalia morti nell’utero o poco dopo la nascita. È stato inoltre scoperto che la malattia si trasmette da madre a figlio attraverso il liquido amniotico. L’Oms ha spiegato che sta tenendo sotto controllo tutti i casi rilevati e sta compiendo nuove analisi, ma nel frattempo ha sconsigliato alle donne incinte di viaggiare nei Paesi colpiti dall’infezione. I governi di questi Stati, invece, sono arrivati addirittura a chiedere alle donne di evitare di rimanere incinte: il Brasile ha parlato di «qualche mese», El Salvador addirittura fino al 2018. In mezzo la Colombia, che ha parlato di 6 o 8 mesi.
L’origine del virus. Era il 1947 quando il virus Zika fu per la prima volta isolato, in Uganda. Il nome deriva proprio dalla zona in cui fu individuato: la foresta di Zika, che in lingua locale significa “coperto di vegetazione”. Inizialmente si pensò che fosse un ramo della febbre gialla e solo nel 1952 fu descritto come un virus diverso. Isolato su un macaco, soltanto nel 1954 fu isolato su un essere umano, in Nigeria. Nei decenni successivi il numero di infetti rimase però estremamente basso, con pochissimi casi segnalati tra Africa e Sud-Est asiatico. Proprio per questo motivo non ci si preoccupò mai di studiare approfonditamente questo patogeno o di studiarne vaccini e cure. Dal 2007, però, i casi cominciarono ad aumentare e a essere rilevati in diverse parti del mondo: prima in Micronesia, poi in Polinesia e Isole di Cook, fino al Brasile, con i primi casi di infezioni nel 2014. Il vero e proprio boom c'è stato ad aprile 2015, quando dal Brasile il virus si è diffuso anche in altri Paesi del Sud e del Centro America. Il motivo di questa crescita dei casi non è ancora chiaro, sebbene ci siano diverse ipotesi che gli esperti stanno valutando.