La freddezza con cui ha reagito alla rapina subita il 19 dicembre in stazione non è frutto del caso. Per lui, purtroppo, 15enne, non era la prima volta. A soli 15 anni aveva già conosciuto la paura di finire a terra, spinto da sconosciuti e privato dello smartphone. Questa volta, però, il finale è stato diverso: il ragazzo è riuscito a riprendersi il telefono e a far arrestare l’aggressore.
Un’esperienza che riapre una ferita mai davvero rimarginata. «La prima rapina risale a un paio d’anni fa, in un parco vicino a un centro commerciale», racconta al Corriere della Sera Bergamo il padre, 57 anni, artigiano, residente in un paese dell’Isola. «Allora lo scoprimmo per caso, grazie alla madre di un suo amico. Nostro figlio non ci aveva detto nulla e per mesi non è quasi più uscito di casa. Non è accettabile che dei ragazzi debbano avere paura anche solo di prendere un autobus».
La delusione dell’uomo è evidente, soprattutto dopo la decisione del giudice per le indagini preliminari di concedere gli arresti domiciliari all’autore dell’aggressione. Si tratta di un 19enne di origine marocchina, residente ad Almenno San Salvatore, già noto alle forze dell’ordine: negli ultimi cinque mesi era stato denunciato tre volte per rapina, una per furto aggravato e ben nove per violazione del foglio di via. Pochi minuti prima di affrontare il quindicenne, avrebbe inoltre costretto un altro studente a consegnargli un paio di scarpe Nike dal valore di circa 200 euro. Al momento del fermo, in Questura, gli agenti gli hanno trovato addosso un iPhone 17 Pro arancione che non è stato in grado di sbloccare e una carta Revolut intestata a una persona sconosciuta.
Proprio per questo quadro, il pubblico ministero aveva chiesto la custodia in carcere. Il giudice, pur riconoscendo la pericolosità e la disinvoltura del giovane, ha però stabilito che i domiciliari fossero una misura più adeguata e proporzionata ai fatti contestati. Una scelta che, sul piano umano, il padre fatica ad accettare: «Quando ci hanno chiesto di sporgere denuncia ho domandato agli agenti se ne valesse la pena. Ci avevano detto che sarebbe stato espulso immediatamente. Invece è già tornato a casa. Dopo tutto il tempo perso da noi e dai poliziotti, sembra che per lui non sia cambiato nulla».
La mattina dell’aggressione, il ragazzo era arrivato da poco in stazione e stava aspettando l’autobus diretto alla scuola, in un quartiere periferico. «Quel giovane si è avvicinato chiedendogli dei soldi. Al rifiuto, lo ha afferrato per il bavero mostrando una bomboletta di spray al peperoncino. Mio figlio ha provato a trattare, proponendo cinque euro». Il rapinatore ha accettato, ma nel gesto ha afferrato anche lo smartphone.
La reazione è stata immediata. «Mio figlio lo ha spinto usando lo zaino. Era pesante e l’altro ha perso l’equilibrio, cadendo a terra. Mentre gli chiedeva il èin del telefono, lui si è rialzato, ha recuperato il cellulare ed è scappato».
Poco dopo è scattata la chiamata alla polizia. «Prima mi ha telefonato mio figlio, era scosso ma stava bene. Poi mi hanno contattato gli agenti: avevano arrestato una persona e volevano il riconoscimento. Ci siamo ritrovati in Questura e nel pomeriggio siamo finiti al pronto soccorso». La diagnosi parla di una contusione alla mano destra, con sei giorni di prognosi.
Il confronto con il passato è inevitabile: «Una volta bastava uno schiaffo per capire che certi comportamenti non erano tollerati. Oggi sembra che certi ragazzi non abbiano né timore né rispetto». E il figlio? «Gli abbiamo proposto di accompagnarlo noi a scuola, ma ha detto che continuerà a prendere il pullman. Speriamo che non debba dimostrare di nuovo quanto è diventato forte per forza».