«Così sono riuscito a non lavorare» Ex minatore spiega, poi ritratta
La storia di Carlo Cani, in arte Charlie Dogs, ha fatto rapidamente il giro d’Italia, dopo essere partita dalla Sardegna. È la storia di un minatore sardo, di Santadi per la precisione, che, nel 1980, riuscì ad ottenere un posto di lavoro alla Carbosulcis, società regionale di estrazione del carbone. Una scelta presa sulle orme del padre Luigi, ex minatore alla Carbosarda. In realtà, però, tra malattie, vere e immaginarie, permessi, certificati medici fasulli, cassa integrazione e mobilità, Carlo Cani, il minatore, non l’ha praticamente mai fatto. Nonostante questo, per lo Stato, ha maturato 35 anni di lavoro (per di più usurante) e si prende la sua pensione come se niente fosse. Una storia che fa il paio con quelle di tanti altri furbetti (anzi, furboni) sparsi per il Belpaese, ma resa ancora più grottesca dalla serenità con cui il protagonista stesso l’ha raccontata al quotidiano La Nuova Sardegna. Lo sdegno nazionale, scoppiato lunedì 20 ottobre, si scontra però con la reazione dell'ex minatore al caos seguito all'articolo. Carlo Cani, infatti, intercettato dalle telecamere del programma di La7 L’Aria che Tira, ha dichiarato: «Son tutte cazzate. Sto andando dall’avvocato». Lesto ripensamento o caso montato ad arte dal giornalismo italiano?
L’intervista incriminata. Eppure, l’articolo che ha causato tanto scalpore, non è solo la sua storia, ma è la sua storia narrata attraverso le sue stesse parole. L’uomo è stato infatti intervistato e il ritratto del perfetto fannullone, di fatto truffatore dello Stato, è lui stesso ad averlo dipinto: «Mi inventavo di tutto, amnesie, dolori, emorroidi, camminavo sbandando come fossi ubriaco. O forse, a pensarci bene, qualche volta lo ero davvero. Mi capitava di urtare la parete con un pollice, impossibile lavorare con un pollice gonfio. Altre volte mi finiva la polvere in un occhio, avevo sempre un occhio pieno di polvere. E il collo, mesi passati con il collare per tenere a bada una maledettissima cervicale. Ma la verità è che non ce la facevo, la miniera non era roba per me». Un virgolettato, parole sue, o almeno così le passa La Nuova Sardegna. E a meno di un’incredibile falso giornalistico, qualcosa non torna nella smentita di Carlo Cani. Ma come sarebbe riuscito, concretamente, a ottenere i 35 anni di “onorata” carriera da minatore? Prima malattie, certificati medici fasulli («Andavo dai medici, chiedevo cure, capivano, mi accontentavano»), qualche giorno di lavoro e tanti giorni di jazz («Possiamo dire che alla miniera ho sempre preferito musica jazz», tanto che il soprannome Charlie Dogs gli fu dato dall’amico Lester Bowie, trombettista d'avanguardia scomparso nel 1999), poi 13 anni di cassa integrazione, a partire dal 1993 («Una liberazione»). Infine la mobilità. Sono tantissimi i suoi ex “colleghi” che hanno lottato e continuano a lottare per non perdere quel posto di lavoro. Non lui: «Per me è stata la fine di un incubo, due anni e mezzo così e l'avvio delle pratiche per la pensione. Quello del minatore è considerato lavoro usurante, mi hanno dato lo scivolo e il conto finale ha fatto trentacinque, sono trentacinque anni di anzianità. Pensionato a cinquantadue anni».
Un'immagine del servizio de L'Aria che Tira di La7, in cui Cani promette azioni legali.
Il terremoto mediatico. Naturalmente, un’intervista del genere, non poteva lasciare indifferenti. I veri minatori del Sulcis si sono indignati, hanno protestato ed hanno soprattutto chiesto spiegazioni ai vertici aziendali: com’è possibile che Carlo Cani venga considerato realmente un loro ex collega? L’Inps ha promesso approfondimenti, la Regione, di fatto proprietaria della Carbosulcis, chiede l’intervento della Procura e ha trasmesso tutti gli atti a chi di dovere. Ma intanto Cani ritratta tutto, definisce l’intervista «una cazzata» e promette azioni legali. Tutta un’invenzione del giornalista? Sarebbe decisamente incredibile come conclusione della storia. Ma solo il tempo, o più probabilmente un giudice, ci dirà come stanno realmente le cose.