Dalmine dice addio a Romeo Taiocchi, che metteva la sciarpa al crocifisso
Molti lo ricordano perché d'inverno era solito avvolgere il Gesù all'esterno della chiesetta della Madonna della Centrale. Da cinque anni era alla Rsa San Giuseppe. La scorsa estate aveva dedicato una poesia in dialetto a Gimondi
di Laura Ceresoli
Dalmine perde un altro storico personaggio che tanto si è fatto ben volere nei suoi 81 anni di vita. Questa notte è mancato all'affetto dei suoi cari Romeo Taiocchi. Classe 1939, da cinque anni e mezzo risiedeva alla Rsa San Giuseppe di viale Locatelli. In paese lo ricordano perché d'inverno era solito avvolgere una sciarpa di lana attorno al crocifisso affisso sopra un albero all'esterno della chiesetta della Madonna della Centrale. Già, perché così nudo, con tutto quel freddo, proprio non riusciva a vederlo.
Quando era ancora in forze, si metteva in sella alla sua bicicletta e andava in giro per la città a consegnare alle persone che incontrava per strada disegni, riflessioni, pensieri in libertà, poesie in dialetto, commenti, cronache del paese. I suoi spunti di riflessione per vent'anni sono stati pubblicati sul notiziario parrocchiale di Mariano.
Il signor Romeo ha conquistato la simpatia anche di ospiti e personale alla casa di riposo. Sulla bacheca vicino all'ascensore sono infatti ancora appesi i suoi disegni e le sue poesie. Fino a qualche anno fa si recava nel salone comune con il giornale, leggeva i titoli ad alta voce e li commentava insieme agli altri ospiti.
Alla fine della scorsa estate Taiocchi era tornato a far parlare di sé per un breve componimento che aveva dedicato ai familiari di Felice Gimondi a pochi giorni dalla scomparsa. Parole in dialetto, scritte volutamente senza punteggiatura, che la Rsa ha portato all'attenzione dei nostri lettori: «Ier sira ver iure desnof ghera in Paradis di us che ghera de rià so ol Felice Gimondi di Sedrina. Quando la us l’è stacia certesa u ross de Angelì i sé meti dre a canta sto ritornel Felice Felice Felice te et mia facc contet sul i tò tifus per i vitorie ma sopratot nost Sant Signur per la tò bontà vers i bisugnus e l’è per chest che Alte brasafò el te dis E sa brao scett che te do ol premio piò bell chel dela Bontà chel dura per Leternità».
Romeo non aveva mai avuto particolare interesse per il ciclismo, a differenza del padre Battista che era un appassionato. Aveva pensato comunque di dedicare il suo scritto a Gimondi, in quanto lo riteneva «una grande persona che aiutava la gente»; inoltre era per lui «un galantuomo che ha saputo portare il buon italiano anche all'estero».