Drogati di social network e affini Quando vivere senza è impossibile

Il 55 percento degli italiani controlla lo smartphone entro un quarto d’ora dal risveglio. Il 35 percento lo fa entro 5 minuti (dati dello studio Global Mobile Survey 2014 effettuato da Deloitte). E non è per spegnere la sveglia e rimandare l’inizio della giornata ancora di qualche minuto. Al contrario, non appena aperti gli occhi, un italiano su due si fionda sul proprio cellulare per controllare messaggi, mail e social network. È praticamente un rituale, se non addirittura un’ossessione. Secondo molti però si tratta di una vera e propria dipendenza.
Un interessante articolo di Business Insider ha chiesto di raccontare ad alcuni utenti - che amano passare diverse ore sui propri social - la loro storia. Per esempio, Natalie, una donna di 40 anni intervistata dal noto quotidiano inglese, ha dichiarato di passare almeno 5 ore al giorno tra Facebook e Twitter, non sentendosi minimamente in colpa. Descrive, al contrario, questa sua passione come un semplice hobby. E poi c’è Trice, che spiega di come il suo accanimento sui social talvolta provochi tensioni tra lei e suo marito, che di continuo la prega di non pubblicare su Facebook gli argomenti di cui hanno parlato (o stanno parlando). Insomma, consapevolmente o no, per alcuni, gli strumenti digitali possono creare una vera e propria dipendenza. Ma vediamo la questione nel dettaglio.
Sindrome da MiPiace. Secondo uno studio condotto dall’Università del North Carolina, esisterebbe una vera e propria sindrome da Like. E ci sarebbe pure una motivazione scientifica a spiegarla. Infatti, il famoso MiPiace sotto la foto postata sui social comporterebbe, secondo la ricerca in questione, una scarica nell’organismo di dopamina, il neurotrasmettitore alla base dei fenomeni di dipendenza. L’assuefazione da Facebook funziona quindi esattamente come qualsiasi dipendenza da droga e, secondo alcuni, addirittura creerebbe maggiore dipendenza del tabacco.
C’è anche un’interessante ricerca di Skuola.net, realizzata per la Polizia di Stato, in cui si indaga il rapporto dei giovani studenti con la tecnologia. Secondo quanto è stato scoperto, solo uno studente su cinque sostiene che i social network abbiano un ruolo marginale nelle relazioni sociali. Le ragioni principali che spingono i più giovani ad utilizzare i social sono: il desiderio di informarsi sia sulle notizie (59 percento) che su quanto accade ai propri amici e conoscenti (51 percento), ma anche sostituire, per ragioni di risparmio economico, telefonate ed e sms (44 percento). Inoltre è diffusissimo l’uso di WhatsApp, l’85 percento degli studenti appartiene ad almeno un gruppo e quest’app vanta il primato di più utilizzata in assoluto, dato che viene aperta non meno di 150 volte al giorno e 12 volte in un’ora.
Riconoscere una dipendenza. In un’intervista alla Stampa del 9 gennaio 2015, il professor Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta tra i massimi esperti dell’età evolutiva, ha affrontato il problema della dipendenza da smartphone diffusa tra i giovani. «Ormai anche nel caso di preadolescenti e adolescenti il cellulare fa parte dello schema corporeo, è una protesi – ha spiegato il professore – e non sono quindi favorevole ad “amputazioni” della realtà, anche virtuale, che i ragazzi vivono, mentre auspico che la scuola li educhi all’uso delle tecnologie perché non ne siano dipendenti». Così, ai tanti che per risolvere il problema strapperebbero di mano il cellulare ai propri figli, il dottor Charmet consiglia piuttosto di provvedere ad corretta educazione del famoso strumento senza il quale oggi è impossibile vivere.
Ma come si riconosce quando si è veramente dipendenti da internet e social network? A spiegarlo è Federico Tonioni, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio Dipendenze da Internet del Policlinico Gemelli, a Roma: «Non esistono dati sulla patologia, ne esistono però sulla fruizione di Internet. Attenzione però, non si misura sulla base delle ore passate in rete ma su quanto ci pensiamo durante la giornata. Ad esempio può soffrirne chi a lavoro non può frequentare Facebook ma ci pensa di continuo e non chi per esigenze professionali deve rimanere collegato molte ore al giorno».