Due detenuti si sono tolti la vita, uno ha tentato: nel carcere di Bergamo è la disperazione
Dirigenti, guardie e volontari fanno più di quello che possono, ma non basta. Tanti i malati psichici che non dovrebbero essere dietro le sbarre
di Paolo Aresi
Due detenuti che si suicidano in una settimana, un terzo che smette di curarsi per una patologia seria e finisce in gravissime condizioni in ospedale. I due morti erano marocchini, uno aveva 31 anni, l’altro 35; erano in via Gleno per furti e piccolo spaccio. Il terzo è pure di origini nord-africane.
La situazione del carcere di Bergamo si ripropone drammatica. La garante dei diritti dei detenuti, Valentina Lanfranchi, che ogni giorno è in via Gleno, non nasconde nulla: «La situazione continua a essere difficilissima, nonostante il prodigarsi del personale e dei volontari. Ma il carcere è in situazione di sovraffollamento e il personale è invece carente... Le guardie fanno tutto quello che possono, anche di più, ma non sono sufficienti. E anche il volontariato è importante, consente tante iniziative, dal forno alla biblioteca, ai corsi... Ma non è sufficiente. Si fa fatica ad affrontare la normalità perché le forze sono scarse. Stamattina un detenuto, ammalato, mi ha detto che voleva fare lo sciopero della fame perché aveva presentato una richiesta di permesso e nessuno gli aveva risposto da venti giorni. Ho dovuto spiegargli che il giudice è oberato di lavoro e fatica a smaltire... insomma è tutto difficoltoso, la giustizia viaggia troppo lentamente. Adesso c’è anche il caldo che rende la situazione ancora più estenuante. Celle piccole, magari fatte per due persone, con quattro detenuti e senza la possibilità di un ventilatore perché gli acquisti sono fermi per ragioni di sicurezza. Se smontate, alcune parti dei ventilatori potrebbero venire usate come oggetti pericolosi, con cui far male a se stessi o agli altri».
L’onorevole Lanfranchi spende per il carcere buona parte delle sue giornate, sa bene che questo è un luogo delicato e importante della città, un posto dove finiscono i drammi, le emarginazioni, le difficoltà di vivere. Le carceri sono sempre state un posto difficile; oggi, che vorrebbero rappresentare anche un luogo di rigenerazione, il compito è ancora più complicato, occorrerebbero forze che non ci sono.
A peggiorare una situazione grave è arrivata anche la soppressione degli ospedali psichiatrici giudiziari, senza però costituire delle sufficienti strutture alternative. Risultato: diversi ospiti psichiatrici sono finiti nelle case circondariali normali, compresa la nostra di via Gleno. Con conseguenze a volte esplosive.
In questo periodo, in via Gleno sono custoditi 520 detenuti, ma la struttura è stata progettata per 315 persone. Gli agenti di custodia sono circa duecento, ma dovrebbero essere 243. Considerando i congedi, cioè le ferie, e i riposi oltre alle malattie, il numero si riduce. Per risultare davvero sicura, per chi è recluso e per chi ci lavora, la casa circondariale di Bergamo dovrebbe avere trecento agenti. (...)