Noi preferiamo la pace

A Eugenio Corti, con stima e affetto Per dire che la guerra non fa uomini

A Eugenio Corti, con stima e affetto Per dire che la guerra non fa uomini
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Eugenio Corti è un grande. Un grande scrittore. Un grande uomo di fede. Della generazione degli attuali bisnonni: scampata la Prima, sono stati presi in pieno dalla Seconda Guerra Mondiale, pirata ubriaco che ha falciato milioni di vite. Nelle ultime foto assomiglia al filosofo Gustavo Bontadini, di una ventina d’anni più vecchio. Grandi lombardi.

Di Corti La Stampa pubblica, qualche giorno fa, lo stralcio di una lettera inedita (per leggerla, qui) che sarà tra qualche tempo pubblicata con altre dalle Edizioni Ares, a cura di Alessandro Rivali. Ci piacerebbe avere un cuore come quello disegnato dalle parole scritte ai genitori al momento di partire per la Campagna di Russia. Saremmo lieti che altri dicessero di noi quel che il sottotenente di Artiglieria confessa di sé, in tutta umiltà. Abbiamo conosciuto Nardo Caprioli che conquistò Nikolajevka, letto Bedeschi e le sue Centomila gavette di ghiaccio, saputo di don Gnocchi e degli Alpini. Abbiamo letto Vita e Destino di Vasilij Grossman? Sì. Prima in un’edizione e poi nell’altra.

C’è anche di più, per molti di noi: da piccoli abbiamo giocato indossando gli abiti militari dismessi dai nostri padri, ci mettevamo in testa cappelli con la visiera più grandi di noi, usavamo le cinture come  briglie per i nostri cavallucci di legno. Sapevamo dove riposavano le sciabole. Abbiamo amato questi travestimenti che ci consentivano di pensarci figli di eroi circonfusi di gloria.

Ma se c’è una formula che descrive ancor meglio come siamo diventati, la formula è quella che Jorge Amado - lo scrittore brasiliano - usa per la sua sfortunata Teresa Batista: stanca di guerra. Siamo stanchi della guerra. Vorremmo poter dire che non è vero, come sostiene Eugenio Corti nella lettera, che «La guerra fa uomini».  Forse fa uomini quelli che lo sarebbero già per conto loro e che forse lo sarebbero diventati ancor più se non fossero stati mandati a morire nel gelo o nell’arsura del deserto. Gli altri - se non li ammazza - li fa diventare delle bestie o li storpia nel fisico e nell’anima. Lasciatecelo dire, voi che siete stati eroi.

E non è nemmeno vero - ci viene da gridare - che «La guerra insegna un’infinità di cose perché ci mostra i nostri simili tali quali essi sono: insegna a conoscere veramente gli uomini». Anche la pace permette di conoscere i nostri simili come sono: basta mettercisi. Scrive ancora Corti che «la guerra dà una grande personalità, una grande conoscenza di sé stessi». Se uno non si smarrisce, certo. Ma è più probabile che si dia la seconda ipotesi che la prima. Perché è vero che abbiamo conosciuto gli eroi, ma non ci sono state risparmiate le larve.

Siamo stanchi anche delle guerre che non abbiamo conosciuto. Ci vien detto che «la guerra è sofferenza e come tale purifica e innalza a Dio. Soprattutto questo: innalza a Dio». Amico Eugenio, e tutti altri voi grandi che avete combattuto con onore la vostra battaglia: non prendetevela se ci sentite chiedere a Dio di non farci passare per quella sofferenza e di purificarci, se può, in un altro modo. Ma sia fatta la Sua volontà e non la nostra, ripetiamo seguendo. In ogni modo sappia che noi staremmo più volentieri con le «quattro / capriole / di fumo / del focolare».

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