Una vicenda complicata

Fallimento della Lupini Targhe a Pognano, si avvia alla fine il processo per bancarotta fraudolenta

Gli imputati rischiano dai 4 ai 3 anni e 4 mesi di reclusione. Per uno di loro chiesta l'assoluzione per i dubbi giri di investimenti

Fallimento della Lupini Targhe a Pognano, si avvia alla fine il processo per bancarotta fraudolenta

In foto, i lavoratori fuori dall’azienda nel 2018

Il processo sul fallimento della Lupini Targhe Spa, un crac da sessanta milioni di euro che nel 2013 lasciò senza lavoro 240 persone, è arrivato alla fase finale: al centro, ci sono due letture opposte di ciò che accadde alla storica azienda di Pognano, specializzata nella produzione di targhe per auto.

L’accusa di bancarotta fraudolenta

Secondo la Procura e la parte civile, rappresentata dall’avvocato Mauro Angarano, la società sarebbe stata portata al collasso da operazioni finanziarie che avrebbero sottratto 21 milioni di euro, poi spostati in Messico attraverso un sistema gestionale considerato illogico. La Lupini, secondo quanto ricostruito dall’Accusa e come riportato dal Corriere Bergamo, sosteneva i costi di produzione, mentre gli incassi finivano altrove.

Per questo, sono state chieste condanne per bancarotta fraudolenta nei confronti di tre dirigenti dell’epoca. Si tratta di L. G., 66 anni, considerato amministratore di fatto della Lupini oltre che procuratore generale della Ott Italy e vicepresidente di Ott Messico, per il quale si sono chiesti quattro anni.

Ci sono poi V. Z., 54 anni, nipote del fondatore dell’azienda e amministratrice unica dal 2010, che rischia tre anni e otto mesi, e P. B., amministratrice di Ott Italy e legale rappresentante di Ott Messico, per la quale si sono chiesti tre anni e quattro mesi. Si è invece chiesta l’assoluzione di un quarto, M. C., 62 anni, ritenuto solo un esecutore.

La nuova società in Messico

Tra i punti più discussi ci sono gli investimenti fatti tra il 2011 e il 2012 in una nuova società nel Paese del Centro America, la Lupini Messico, quando la Lupini in Italia era già in difficoltà economiche. Furono investiti quattordici milioni di euro per avviare l’attività di cromatura delle targhe oltreoceano, ma non ci sarebbe stato alcun ritorno per lo stabilimento italiano. Poco prima di chiedere il concordato, la nuova società fu poi ceduta a un’altra azienda, la Ott Messico, considerata dagli inquirenti legata agli stessi protagonisti, senza garanzie di pagamento: dei sedici milioni previsti, ne arrivarono solo quattro, prima del fallimento definitivo.

Un’altra accusa riguarda l’aver frapposto nei rapporti commerciali la Ott Messico tra le imprese automobilistiche e la Lupini, azione che avrebbe azzerato quasi nove milioni di euro di crediti che quest’ultima aveva con la Ott, aggravando ulteriormente la crisi. La parte civile chiede anche un risarcimento, per un totale di ventuno milioni, più altri dieci milioni e mezzo, per danni morali e d’immagine.

Una diversa versione sugli investimenti

La Difesa, però, con l’avvocato Tomaso Cortesi sostiene una versione diversa. Il legale ha spiegato che l’espansione in Messico non sarebbe stato un modo per svuotare l’azienda, ma un tentativo disperato di salvarla. Inoltre, l’avvocato ha affermato che parte dei documenti societari non sarebbe più disponibile a causa di una gestione discutibile degli archivi, dopo il fallimento, da parte del curatore, e che la vendita contestata non è mai diventata effettiva, perché le condizioni previste non furono rispettate.

Il processo proseguirà con le ultime arringhe, ma resta una vicenda complessa, segnata da scelte rischiose, investimenti di dubbia natura all’estero e, soprattutto, dalle conseguenze pesanti per centinaia di famiglie che lavoravano nello stabilimento bergamasco.