La crisi dei giornali è un necrologio Fate un bel respiro, poi leggete i dati
Panorama ha deciso di chiudere la storica sede romana di via Sicilia. Troppi costi, nonostante i robusti tagli degli ultimi anni (la redazione era passata da una trentina di membri a 5-6 unità). Una notizia che fa il paio con l’ultimo rapporto dell’ufficio studi di Mediobanca, che monitora l’andamento editoriale degli 8 principali gruppi italiani: Rcs, Mondadori, Sole 24 Ore, Class, Caltagirone, L’Espresso, La Stampa, Monrif. Secondo il centro ricerche, l’editoria italiana non riesce ad arrestare la fase di contrazione dei ricavi, pur diminuendo - meglio di niente - le perdite e i costi.
I dati dello studio: la pubblicità. La principale variabile che determina questo inarrestabile calo dei guadagni è senza dubbio la pubblicità, in affanno nel tentativo di ridare respiro alle casse dei grandi quotidiani: fra il 2010 e il 2014, infatti, i ricavi pubblicitari sono calati del 41,2 percento, con un clamoroso picco per quanto riguarda Mondadori (Panorama, Donna Moderna, Grazia, Focus, Cosmopolitan…) che fa registrare un meno 95,2 percento; più contenuto il calo di Class (Milano Finanza, Italia Oggi, Class Tv…), fermo al 19,6 percento. Eterogeni i dati riguardanti le vendite: se Class è in crisi nera, -48,3 percento in 5 anni, Monrif (QN, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno…) riesce a contenere il calo al 6,2 percento. Un andamento, peraltro, in linea con la tendenza globale: secondo la World association of newspapers and new publishers, nel 2015 si è registrato un calo del 13 percento della raccolta pubblicitaria per i soli quotidiani, a fronte di un +2 percento delle vendite, per un complessivo giro d’affari di 167 miliardi di euro.
L’online e la carta stampata. Il digitale, naturalmente, cresce, ma in misura ancora tutt’altro che significativa in quanto a incisività sui bilanci dei gruppi editoriali. La causa, si capisce, è nel drastico e inarrestabile calo delle vendite, che ha toccato quota -400mila nel solo 2014: oggi, appena 3,2 milioni di italiani comprano un giornale nell’arco di un anno, stando ai dati dell’Associazione stampatori italiani giornali. Dal 2010, in Europa, solo la Spagna ha fatto peggio di noi. E l’online, pur tentando di ampliare la platea dei lettori (lo scorso anno sono stati aperti 180mila nuovi giornali sul web), non riesce ad essere vera stampella e, soprattutto, orizzonte rassicurante per i gruppi editoriali, che oggi possono contare su solo 66 stabilimenti su tutto il Paese, numero oltretutto in costante calo. Il dato che fa più impressione riguarda il numero di copie vendute rispetto a quelle stampate: solo il 23,7 percento.
I dati europei e mondiali. Gli altri Paesi europei non stanno certo particolarmente meglio di noi, con un calo complessivo delle vendite del 21,3 percento nell’ultimo quinquennio e del 4,5 percento nel 2014. A dare linfa al giornalismo mondiale ci pensa l’Asia: che dal 2010 al 2014 ha visto aumentare la diffusione dei propri giornali del 32,7 percento. D’altra parte, dei 10 giornali più venduti al mondo, 9 sono indiani, cinesi o giapponesi, con l’unica eccezione di Usa Today, e fra i primi 50 figurano solo 3 quotidiani europei (Bild, The Sun, Daily Mail). Come detto, l’Italia è al penultimo posto nella classifica europea per lettori di giornali, davanti solamente alla Spagna (che sia un caso che siano i Paesi in cui hanno maggiore successo i movimenti populisti?).
Tagliare serve a poco. Pochi lettori e pubblicità in calo sono costati in 5 anni, in Italia, il posto a circa 4.800 persone, solo negli 8 grandi gruppi, che occupano complessivamente 13.346 addetti. Tra questi, i giornalisti sono scesi da 5.603 a 4.922, con un calo del 12,2 percento dal 2010, ma del 5,2 percento solo tra 2013 e 2014. Ma tentare di affrontare la crisi dei ricavi semplicemente riducendo i costi non ha portato ad alcun tipo di frutto: la sola Rcs (Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport…), pur avendo messo alla porta migliaia di dipendenti negli ultimi anni, dal 2010 ha perso più di un miliardo di euro, di cui il 63 percento legato alle svalutazioni degli attivi immateriali, ad esempio il valore dato alle testate che il gruppo possiede in Italia e Spagna. Se Rcs è la pecora nera, non vanno meglio gli altri: Mondadori -260 milioni, Caltagirone -197 milioni, il Sole 24 Ore -180 milioni, La Stampa -92 milioni, Class -63 milioni, Monrif -37 milioni, mentre, sorprendentemente, guadagna e molto il gruppo L'Espresso, +145 milioni.