A Dalmine

Fatiha, «la povertà non è reato» E vuole una casa a tutti i costi

Fatiha, «la povertà non è reato» E vuole una casa a tutti i costi
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Per quattro giorni una tenda rossa ha stazionato fuori dall’ingresso del palazzo comunale di Dalmine. Attorno, un gruppetto di persone dentro al quale spiccava una donna. È Fatiha Masad, ha 43 anni, è una cittadina italiana di origine marocchina ed è la mamma di Giuseppe, un bimbo di dieci anni che frequenta la primaria Carducci. Dal 13 marzo scorso Fatiha e Giuseppe non hanno più una casa.

Erano stati accolti in un appartamento del Comune di Dalmine destinato ad housing sociale, in via Monte Cervino 22, ma la donna, secondo quanto riferito dall’Amministrazione comunale, non avrebbe mai accettato di seguire le regole previste per le famiglie che usufruiscono di questo servizio. Che comunque è temporaneo, non vengono fornite sistemazioni permanenti, non si tratta di case popolari ma di soluzioni di emergenza: le famiglie vengono supportate per alcuni mesi, vengono seguite dai servizi sociali che le aiutano a reinserirsi nuovamente nella società, a trovare un’occupazione che permetta di pagare un affitto e di mantenersi.

 

 

Fatiha un lavoro ce l’aveva, anche se saltuario: faceva la badante, le pulizie, tutto ciò che le consentiva di guadagnare qualcosa per permetterle di vivere degnamente insieme a suo figlio. La donna è in Italia da dodici anni, il papà di Giuseppe se n’è andato quando il piccolo aveva solamente quattro mesi. Da allora si è sempre arrangiata come poteva. Fino a sei mesi fa abitava in un appartamento ma, non riuscendo più a pagare l’affitto, si è rivolta all’Unione Inquilini per farsi aiutare, dato che era stato annunciato lo sfratto per morosità incolpevole.

A settembre Fatiha e Giuseppe hanno lasciato quell’abitazione e, grazie anche all’aiuto del sindacato Inquilini, sono stati presi in carico dai servizi sociali dalminesi. La famiglia è stata trasferita nell’appartamento di via Monte Cervino e il Comune, per consentirle di viverci temporaneamente, le chiedeva un contributo di 320 euro. Denaro che però Fatiha, non avendo un lavoro, non riusciva a corrispondere. Chi alloggia negli appartamenti di housing sociale ha l’obbligo di seguire un percorso con figure professionali competenti che aiutano nel processo di autonomia. Nello specifico Fatiha doveva incontrare un educatore tre ore la settimana per tre mesi, cosa che la donna si è sempre rifiutata di fare. «Gli unici impegni assolti - si legge in un comunicato stampa del l’Amministrazione - sono stati quelli assunti dal Servizio...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 29 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 5 aprile. In versione digitale, qui.

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