Garattini: «AstraZeneca, comunicazione insufficiente. In Italia siamo in ritardo su tutto»
Dopo Remuzzi, anche il presidente e fondatore del Mario Negri, ai taccuini dell'Agenzia Dire, ha commentato lo stop al vaccino anglo-svedese. E anche sulle strategie del nostro Paese nella battaglia al Covid
«Le persone devono capire che c'è una grande attenzione e molti controlli sul vaccino, questo può aiutare a dare fiducia. Al tempo stesso, le autorità regolatorie devono spiegare, essere capillari, le persone vogliono un punto di riferimento, non gli annunci. Sull'intesa per la produzione di vaccini in Italia siamo in ritardo, così come siamo indietro su tutto il resto e con una ricerca ridotta alla miseria». Così Silvio Garattini, farmacologo bergamasco, presidente e fondatore dell'Istituto Mario Negri, interpellato dall'Agenzia Dire sullo stop ad AstraZeneca e sulla capacità produttiva italiana sui vaccini. Sullo stessa tema, ieri (15 marzo) si era espresso anche il collega Giuseppe Remuzzi.
Professor Garattini, cosa è andato storto con AstraZeneca?
«Ancora non lo sappiamo, il vaccino di Oxford è stato somministrato nel Regno Unito a 17 milioni di persone e i casi di trombosi sono stati 37, un numero atteso nella normale popolazione. Di contro, ha diminuito la contagiosità, la gravità della malattia e la letalità. In Italia muoiono ogni giorno duemila persone di morte accidentale, ed è probabile che tra queste possano rientrare anche le persone che hanno ricevuto il vaccino. È probabile che il vaccino sia indipendente da questi decessi, ma è altrettanto vero che il vaccino non ci da l'immortalità, anzi, un antidolorifico può dare un'emorragia intestinale in un caso su mille. A ogni modo, sapremo a breve dall'Ema di cosa si è trattato».
Ha detto che serve una buona comunicazione su questa vicenda. La storia di AstraZeneca non è iniziata sotto i migliori auspici...
«Questo vaccino, per usare un eufemismo, è stato un po' sfortunato, ma sono stati gli stessi produttori a dare informazioni contraddittorie: una dose, mezza dose, solo per under 55, anzi no anche agli over65. Questo vuoto comunicativo è in parte giustificato, perché le sperimentazioni d'urgenza con cui questi vaccini vengono approvati fanno sì che le aziende produttrici aggiornino continuamente i dati e inviino gli aggiornamenti alle agenzie regolatorie. In parte, però, c'è stata una comunicazione insufficiente, a partire dai livelli apicali in cui tutti parlano e tendono a contraddirsi, senza spiegare quello che succede. È ragionevole essere dubbiosi, per questo le autorità regolatorie devono spiegare e non solo una volta, ma ripetere senza stancarsi perché l'informazione deve essere capillare. Non servono grandi annunci».
Farmindustria e ministero dello Sviluppo Economico, per conto del Governo, hanno avviato una partnership per produrre i vaccini anti-Covid nel nostro Paese, un'intesa che però vede l'Italia come contoterzista, ovvero produrre per conto di altre aziende.
«Siamo in ritardo su tutto e questo bisogna dirlo chiaramente, perché dagli errori si impara. Già ad aprile 2020 avevamo fatto appello al Governo affinché si attrezzasse. La nostra pigrizia fa il paio con quella europea, che ha fatto i contratti con le aziende produttrici a distanza di mesi rispetto a Stati Uniti e Regno Unito. Abbiamo avuto una mentalità parassitaria, invece dovevamo ampliare da subito gli stabilimenti disponibili, già nella primavera scorsa. Se lo avessimo fatto saremmo in altre condizioni, saremmo parte della produzione e non solo terzisti».
Se si decidesse di produrre i vaccini in Italia, si dovrebbe investire molto e guardare alla ricerca in modo diverso rispetto a quanto si è fatto fino a ora?
«Siamo il Paese in cui la ricerca è alla miseria, letteralmente. Abbiamo la metà dei ricercatori rispetto alla media dei Paesi europei e i nostri migliori se ne vanno all'estero perché non trovano opportunità. Noi spendiamo una cifra irrisoria per quanto riguarda la ricerca, basti pensare che per avvicinarci a quanto spende la Francia, che poi si tratta di un investimento e non di una spesa, dovremmo spendere almeno venti miliardi di euro in più all'anno».