Giovani, spunta la pensione minima Come funzionerebbe, nel dettaglio

I governi in vista elezioni diventano sempre più generosi. Così dopo la misura del reddito di inclusione, il cosiddetto Rei, ecco che arriva l’annuncio di un nuovo intervento, questa volta a favore dei giovani. L’ha annunciata il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che da un po' di tempo in qua sembra essersi perso a cuore i problemi delle ultime generazioni. Quante volte ci si chiede se i ragazzi di oggi avranno mai la “fortuna” che i loro padri hanno avuto, cioè quella di andare un giorno in pensione?
Poletti incontrando i sindacati ha lanciato questa ipotesi: costruire una rete di sicurezza che garantisca ai giovani di oggi un assegno minimo da 650 euro, in caso i contributi versati non siano sufficienti a raggiungere questa soglia. Secondo il piano presentato da Poletti i giovani che sono interamente nel sistema contributivo e hanno avuto carriere discontinue, in futuro, potrebbero andare in pensione prima dei 70 anni e con 20 anni di contributi avendo maturato un trattamento pari a 1,2 volte l'assegno sociale (448 euro), invece dell'attuale 1,5. In sostanza, la soglia verrebbe ridotta da 1,5 a 1,2 e quei giovani uscirebbero con un assegno minimo di circa 650-680 euro, perché verrebbe aumentata anche la cumulabilità tra assegno sociale e pensione contributiva.
Chi è entrato nel mondo del lavoro dal 1996 in poi incasserebbe al termine del proprio percorso professionale un assegno che dipende dalla somma dei contributi versati, senza alcun riferimento all'importo delle ultime busta paga, come accadeva invece con il sistema retributivo. Oltretutto per loro è stata abolita l''integrazione al minimo", cioè la pensione minima pari a poco più di 500 euro che invece ai garantita a chi è già andato in pensione con i sistemi precedenti.
L’allarme è scattato anche dopo che la Ragioneria dello Stato aveva reso noto i calcoli sulle pensioni delle prossime generazioni: il rapporto tra la futura pensione al netto delle tasse e quanto incassato in busta paga prima di lasciare il proprio impiego, potrebbe scendere fino al 68 per cento dal 2030 per i lavoratori autonomi con ben 38 anni di contributi. Vale a dire che uno stipendio da 1500 euro mensili si tradurrebbe in una pensione di 1020 euro.
Oltretutto si tratta di generazioni che, come aveva avvertito il presidente dell’Inps Tito Boeri, devono fare i conti con una discontinuità contributiva, dovuta a episodi di disoccupazione, che nella media riguardano quasi tutti e vengono misurati in circa due anni. Questo buco è destinato a pesare sul raggiungimento delle pensioni, che a seconda del prolungamento dell'interruzione può slittare «fino anche a 75 anni» (parole di Boeri).
Perché la riforma Fornero ha tirato un brutto scherzo ai giovani: chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 e va in pensione con il sistema contributivo può uscire in modo anticipato (a tre anni dal requisito) o per vecchiaia solo se rispetta un limite di reddito. E quanto più questo reddito è basso, tanto più tardi potrà ritirarsi. In sostanza più sei ricco, prima vai in pensione. Un effetto folle a cui ora si pensa di mettere un riparo. Perché, per quanto disaffezionati, i giovani sono pur sempre degli elettori…