Il pregiudizio di colpevolezza

Gli assolti condannati da un "però" Un articolo che val la pena leggere

Gli assolti condannati da un "però" Un articolo che val la pena leggere
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Con un pizzico di ritardo, riportiamo un interessantissimo articolo apparso sul Corriere della Sera mercoledì 11 novembre, a firma di Michele Ainis, giornalista dalla forte impronta giuridica. Ainis, muovendo dalla sentenza di assoluzione, dopo 20 anni di iter processuali, in favore di Calogero Mannino, ex ministro democristiano accusato nel 1995 di associazione mafiosa, riflette su come in Italia le pronunce di proscioglimento dei giudici contino poco o nulla, da un punto di vista dell’immagine che il Paese si è fatto di un soggetto sottoposto a procedimento penale. C’è sempre un “però”, sostiene Ainis, anche a fronte di un giudizio di innocenza da parte della giustizia: i casi Sollecito, Napolitano, o delle maestre di Rignano ne sono ulteriori e lampanti esempi. Il pregiudizio di colpevolezza che si ingenera nei cittadini durante gli anni del processo non viene minimamente scalfito dal giudice che, al primo, secondo se non addirittura terzo grado, “in nome della legge e del popolo sovrano” stabilisce che l’imputato non ha commesso i reati di cui è stato accusato. “Chissà, forse siamo colpevolisti perché abbiamo perso l’innocenza: la nostra, non la loro”. Uno spunto che fa senz’altro riflettere.

 

Assolti, c'è sempre un però

di Michele Ainis

 

Ego te absolvo, sussurra il prete dietro la grata del confessionale. Ma se lo dice il giudice allora no, non vale. In Italia ogni assoluzione è un’opinione, per definizione opinabile o fallace; e d’altronde ogni processo è già una pena, talvolta più lunga d’un ergastolo. Ultimo caso: Calogero Mannino. L’ex ministro democristiano arrestato nel 1995 per concorso esterno in associazione mafiosa, prosciolto 25 anni più tardi dalla Cassazione, dopo una giostra d’appelli e contrappelli, dopo 22 mesi di detenzione, dopo la gogna e la vergogna. E adesso assolto di nuovo in primo grado nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Reazioni: sì, però... C’è sempre un però, c’è sempre una virgola della sentenza d’assoluzione che si lascia interpretare come mezza condanna (in questo caso l’insufficienza delle prove), o magari c’è una dichiarazione troppo esultante del prosciolto, un suo tratto somatico tal quale la smorfia di Riina, una corrente d’antipatia che nessun verdetto giudiziario riuscirà mai a sedare.

Mannino sarà anche innocente, però non esageri, ha detto l’ex pm Antonio Ingroia in un’intervista a Libero. Lui invece esagera, come fanno per mestiere i romanzieri; e infatti ci ha promesso in dono un romanzo col quale svelerà le intercettazioni di Napolitano. Peccato che pure stavolta ci sia di mezzo una sentenza, oltretutto firmata dal giudice più alto. Giacché nel 2013 la Corte costituzionale - per tutelare la riservatezza del capo dello Stato - impose l’immediata distruzione dei nastri registrati, e dunque i nastri sono stati inceneriti, anche se nessuno può incenerire la memoria di chi li ascoltò a suo tempo. Come Ingroia, per l’appunto.

Risultato: la Consulta ha sancito l’innocenza «istituzionale» dell’ex presidente, l’ex magistrato ne dichiara la colpa. Risultato bis: anche in questo caso non conta il giudizio, conta il pregiudizio.

Potremmo aggiungere molte altre figurine a quest’album processuale. Potremmo rievocare le maestre di Rignano: nel 2006 imputate di violenza sessuale sui bambini, assolte per due volte in tribunale, però sempre colpevoli secondo i genitori, tanto che hanno smesso d’insegnare. O altrimenti potremmo citare il caso di Raffaele Sollecito: assolto anche lui per il delitto di Perugia, dopo un ping pong giudiziario di 8 anni; qualche giorno fa vince un bando della Regione Puglia per creare una start up, e s’alzano in coro gli indignati. Insomma, alle nostre latitudini l’unica prova certa è quella che ti spedisce in galera, non la prova d’innocenza. E allora la domanda è una soltanto: perché? Quale virus intestinale ci brucia nello stomaco, trasformandoci in un popolo incredulo e inclemente?

Chissà, forse siamo colpevolistiperché abbiamo perso l’innocenza: la nostra, non la loro...

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