Gli effetti del lockdown a Bergamo: bruciati oltre 40 miliardi di euro e 6000 posti di lavoro
Sono questi gli effetti che i tre mesi di chiusura per il virus hanno avuto nella nostra provincia, almeno stando ai dati Eupolis aggiornati alla fine di aprile 2020

Oltre 40 miliardi di euro andati “in fumo” nei settori dell’industria, dei servizi e del turismo. Circa 6000 posti di lavoro cancellati. Un aumento nel tasso di disoccupazione di 1 punto percentuale. Sono questi gli effetti che i tre mesi di lockdown hanno avuto in provincia di Bergamo, stando ai dati Eupolis aggiornati alla fine di aprile 2020.
«Nulla di inaspettato, ma messo nero su bianco l’effetto è perturbante – commenta Danilo Mazzola, segretario provinciale della Cisl -. Resta da capire come il fatturato perso possa incidere sull’industria bergamasca che ora sta lentamente ripartendo. Si tratta di una condizione che influenzerà l’occupazione più stabile; sono necessari ammortizzatori sociali non ordinari, visto che la corsa al recupero degli ordinativi persi andrà ben oltre il 2020».
Sono state 18.366 le aziende orobiche che hanno sospeso l’attività (pari al 69,4 per cento del totale, la percentuale più alta di tutta la regione), coinvolgendo 95.919 dipendenti sui 116.117addetti e creando un “buco” nel fatturato di 24.437.000 euro.
Nel settore dei servizi hanno chiuso 30.408 imprese (il 47 per cento), con 42.006 lavoratori sospesi sui 74.887 e una perdita di 13.272.000 di euro di fatturato. Nel turismo, la differenza con il mese di aprile del 2019, si evidenziano 191.367 presenze in meno. Numeri che hanno come conseguenza la perdita di incassi pari a 21 milioni di euro, che se rapportati ai tre mesi di lockdown possono facilmente essere calcolati in almeno 50 milioni di euro in meno.
Se si guarda alla Lombardia, dal 17 febbraio al 19 aprile sono andate perse 57.198 posizioni lavorative. Il tasso di disoccupazione è cresciuto dell’1,2 per cento rispetto al quarto trimestre del 2019, arrivando a toccare il 7,3 per cento.
Ciò a causa del mancato rinnovo dei contratti a termine, della mancata assunzione di lavoratori con contratti brevissimi come i camerieri, i mancati avviamenti di contratti in somministrazione per coprire i picchi improvvisi di lavoro. Solo l’intervento della cassa in deroga ha rallentato l’aumento della disoccupazione.
«Se parametrassimo su Bergamo la tendenza regionale relativa alla disoccupazione – prosegue Mazzola - sarebbe tranquillamente ipotizzabile un aumento della disoccupazione dello 0,7 per cento, pari a circa 6000 posti di lavoro cancellati. Ad oggi, le prime ripercussioni sull’occupazione hanno toccato lavoratori a tempo determinato o stagionali, mettendo in grossa difficoltà persone che già vivevano un’esperienza lavorativa precaria, solo in parte calmierata dalla cassa integrazione».
La situazione economia e occupazionale è facilmente leggibile anche dai dati relativi al lavoro stagionale: da gennaio a marzo i numeri del CpI di Bergamo segnalano un calo del 9 per cento nel ricorso ai contratti stagionali (con picchi di circa il 20 per cento tra le donne). Anche in questo caso i settori più colpiti sono turismo, intrattenimento e trasporti. Stabile, invece, l’agricoltura. «Per il mondo dei servizi, del turismo e del commercio, è prevedibile una ripartenza solo tra fine 2020 e inizio 2021 – conclude il segretario della Cisl -. Diviene allora urgente prevedere un ampliamento della cassa in deroga, andando oltre le 22 settimane per Covid-19, con uno strumento che possa coprire almeno tutto il 2020».