La vendetta dei miliziani dell'Isis

Iraq, ucciso il giudice che condannò a morte Saddam

Iraq, ucciso il giudice che condannò a morte Saddam
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La vendetta sarebbe arrivata per mano dei terroristi dell’Isis, che secondo notizie non confermate da Baghdad, hanno catturato e forse giustiziato il giudice Rauf Rashid Abd al Rahman, l'uomo che aveva condannato a morte il rais Saddam Hussein. Secondo varie fonti, fra cui il parlamentare giordano Khalil Attieh, il giudice avrebbe cercato di fuggire travestendosi, ma è stato riconosciuto e assassinato, per vendicare «l’uccisione del martire Saddam Hussein». L’esecuzione del giudice è stata annunciata anche dalla pagina di Facebook attribuita ad Izzat al-Douri, vice presidente di Saddam sfuggito alla cattura, e ora considerato uno degli alleati di Isis fra i sopravvissuti del partito Baath, decisivi per consentire la presa di molte città nelle regioni sunnite.

Il governo iracheno non ha confermato la notizia dell'uccisione del giudice, ma non ha smentito la cattura, mentre per bocca del portavoce del premier Maliki, Qassem Atta, ha rivelato che «centinaia di soldati sono stati decapitati e impiccati a Salahaddin, Ninive, Dilaya, Kirkuk e nelle zone dove si trovano i jihadisti dell’Isis».

Al Rahman era un curdo nato ad Halabja, la città nella quale, nel 1988, gli uomini di Saddam avevano compiuto una strage con le armi chimiche. Rauf aveva perso diversi famigliari in quell’attacco. Prima avvocato e poi giudice della Corte d’Appello del Kurdistan. il regime lo aveva arrestato e torturato. Il 23 gennaio del 2006, durante il processo a Saddam, aveva preso il posto di Rizgar Mohammed Amin come capo del Supremo tribunale criminale iracheno, accusato di essere troppo debole con l’imputato. Al Rahman - scrive la Stampa - "aveva scelto una linea più dura, obbligando l’ex rais a rispettare le regole, e quella fase del processo era diventata l’immagine dell’Iraq che cambiava". Nel 2007 il giudice aveva portato la sua famiglia a Londra e aveva fatto domanda d’asilo. Poi però ci aveva ripensato ed era tornato a Baghdad.

La situazione in Iraq è ancora molto tesa. Si susseguono gli scontri tra l’esercito governativo e l’ISIS, il gruppo di ribelli sunniti che da circa venti giorni ha lanciato un duro attacco alle forze del primo ministro sciita Nuri al-Maliki, riuscendo a conquistare gran parte del Nord del Paese. Mercoledì 18 giugno i ribelli dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante sono riusciti a conquistare quasi la totalità della raffineria di Baiji, la più grande del Paese, avvicinandosi ulteriormente a Baghdad. Venerdì 20 giugno, per le strade della capitale e delle città a maggioranza sciite (non ancora cadute sotto l’offensiva dell’ISIS) migliaia di volontari hanno sfilato mostrandosi pronti allo scontro con i ribelli, in un territorio che fonti locali vedono già pronto alla guerra.

[Un video che spiega, in quattro minuti, tutto quello che serve sapere sulla situazione dell'Iraq.]

Continua l’avanzata dell’ISIS.

Dopo aver ottenuto il controllo delle principali città del Nord, Mosul e Tikrit, i jihadisti sunniti hanno continuato nello scorso weekend la propria avanzata verso Ovest, diretti al confine con Giordania e Siria, ove hanno già un folto seguito. Diverse cittadine sono cadute al loro passaggio, aiutato dall’ennesima ritirata dell’esercito iracheno. I generali governativi hanno tentato di spiegare che non si è trattata di una fuga, ma di una mossa tattica. Intanto ISIS ha conquistato al-Qaim, Rawa, Aana e per ultima la città di Rutba. Con questi quattro centri, i ribelli si sono ulteriormente avvicinati al confine con la Siria, oramai totalmente fuori dal controllo del governo di Bagdad. I miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante ora controllano l’aeroporto di Tal Afar ed uno dei posti di frontiera ufficiali con la Siria. A Sud, il valico di Turaibil, unico che collega l’Iraq alla Giordania, è anch’esso controllato dai ribelli. Con gli scontri, aumenta ulteriormente il numero di morti: a Rawa e Aana, secondo testimoni, sono almeno 21 i civili giustiziati dall’ISIS, mentre nella prima mattinata odierna le forze aeree irachene hanno bombardato nuovamente Tikrit. Secondo la tv di Stato, il raid avrebbe provocato la morte di 40 ribelli jihadisti, ma fonti sul territorio parlano di 9 morti e non tutti miliziani.

John Kerry a Baghdad per una soluzione.

Nella giornata di domenica 22 giugno è sbarcato in Iraq il segretario di Stato americano John Kerry. Non era atteso l’uomo di Obama, ma il suo arrivo improvviso è la dimostrazione che la situazione interna al Paese preoccupa non poco gli Stati Uniti. Lo scopo della visita sarebbe quello di convincere il primo ministro Nuri al-Maliki alle dimissioni. Kerry chiederà un’apertura da parte del governo sciita ai sunniti del Paese, che si sono in gran parte alleati all’ISIS a causa delle scelte politiche di al-Maliki che ha escluso totalmente dalle scelte di governo i sunniti ed i curdi, minoranza molto potente nelle zone del Nord-Ovest dell’Iraq. La richiesta degli USA è quella di formare un governo più ampio, che rappresenti meglio gli interessi di tutto il popolo iracheno. Se al-Maliki dovesse accettare le condizioni poste da Kerry, fonti del dipartimento di Stato americano lasciano intendere che gli USA potrebbero valutare concrete azioni di assistenza all’esercito governativo.

L’unica certezza è che non c’è tempo da perdere poiché i jihadisti dell’ISIS, dopo le ultime conquiste, stanno puntando alla città di Haditha, centro di controllo della rete elettrica dell’intero Paese e dove è situata una grande diga. Se questa venisse distrutta, le conseguenze potrebbero essere gravissime.

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