Troppi silenzi

Il caso di Oumar, 21enne bergamasco morto in carcere a Opera: nessuno dice perché

Era stato arrestato nel 2020 per un telefonino, poi aveva cambiato vita. Il 7 luglio 2023 un nuovo arresto senza spiegazioni. E il decesso dopo un ricovero in terapia intensiva

Il caso di Oumar, 21enne bergamasco morto in carcere a Opera: nessuno dice perché
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di Camilla Amendola

«Passavamo insieme tutti i pomeriggi. Veniva a casa mia dopo il lavoro e insieme abbiamo imparato a giocare a scacchi e a Monopoli. Pensavamo ci servisse per sviluppare il pensiero logico». Inizia così il racconto di un amico di Oumar Dia, ragazzo bergamasco di origine senegalese nato il 6 agosto 2002 e residente a Fiorano al Serio.

Oumar è morto il 26 ottobre, in circostanze poco chiare, nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Rozzano.

Il furto e l’arresto nel 2020

Questa storia inizia l’8 agosto 2020. In gita a Milano con gli amici, Oumar ruba un telefonino, un Samsung A7, strappandolo dalle mani di un uomo. «In quel periodo, Oumar e la sua famiglia avevano bisogno di soldi», spiegano oggi gli amici, pur senza giustificarlo. Anzi, tutti dicono che ha sbagliato.

Subito dopo il furto, Oumar viene inseguito dal proprietario del telefonino e da un signore in moto che aveva assistito alla scena. Lo bloccano e chiamano la Polizia, che lo arresta.

Oumar Dia

Oumar fa due mesi di carcere, poi sei di domiciliari e, infine, altri due in comunità. Chi lo conosce bene ammette che il periodo in cella lo aveva molto cambiato. In meglio.

«Aveva lavorato per ripagare lo smartphone al signore a cui l’aveva rubato, per Oumar era un importante gesto simbolico. Voleva chiudere con il ragazzo che era stato prima, per costruirsi una strada nuova e una vita piena di possibilità», raccontano.

Oumar Dia

La nuova vita

Oumar trova anche lavoro in un’impresa che realizza impianti fotovoltaici. Viene pagato bene, guadagna più di millecinquecento euro al mese, e gli piace quel che fa: «Il capo gli voleva un bene dell’anima».

Il suo sogno, però, era andare a Londra, dove da qualche anno si era trasferito anche un suo amico, Lorenzo: «Gli dicevo di venire qui. Ci sono tante possibilità. Prima, però, doveva imparare bene la lingua». E infatti Oumar inizia a studiare inglese, tra una partita a Monopoli e una a scacchi.

La vita del ventenne era cambiata ed era fatta di tanto lavoro e qualche presa in giro con gli amici di sempre: «Scherzavo spesso con lui sul fatto che era stato in carcere, ma non si arrabbiava. Ci rideva sopra, sapeva di aver sbagliato e di aver pagato - racconta uno di loro -. In realtà, io non l’ho mai visto nervoso. Era bello stare con lui perché era sempre calmo e non cercava problemi. Gli ho sempre detto che era un “nero-bianco”, perché era talmente ben integrato da non rappresentare nemmeno uno degli stereotipi che ci sono su noi neri». Il 7 luglio di quest’anno, però, tutto cambia.

La marcia pacifica andata in scena l'1 novembre a Milano per chiedere la verità sulla morte di Oumar

L’inizio dell’incubo

Quel giorno, alla porta di casa della famiglia Dia suonano i carabinieri (...)

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