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Il prezzo del lockdown nella Bergamasca: livelli produttivi riportati indietro di 7 anni

Nel primo trimestre la produzione cala del 10,1 per cento nell’industria e del 14,1 per cento nell’artigianato. Stabile la domanda estera e l'occupazione grazie alla cassa integrazione

Il prezzo del lockdown nella Bergamasca: livelli produttivi riportati indietro di 7 anni
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Lo scoppio dell’epidemia da Coronavirus e il conseguente blocco delle attività lavorative ha portato i livelli produttivi nella Bergamasca indietro di 7 anni. In particolare, se paragonato al 2019, durante il primo trimestre di quest’anno la produzione industriale nelle imprese con almeno dieci operai è calata del 10,1 per cento, mentre per quelle artigiane con più di due addetti la riduzione è stata pari al 14,1 per cento. Valori in linea con quelli minimi toccati nel 2013, in seguito alla crisi dei debiti sovrani.

La proroga del lockdown ad aprile e la ripresa graduale delle attività a maggio lasciano presagire una caduta ancora più accentuata nel secondo trimestre, come evidenziato dal crollo delle aspettative degli imprenditori. Solo nella seconda metà dell’anno sarà possibile un parziale recupero, ma i tempi necessari per tornare ai livelli precedenti all’epidemia non saranno certo brevi.

«Questa analisi congiunturale traduce in numeri chiari le preoccupanti avvisaglie di impatto sugli indici provinciali che vari centri studi nazionali e internazionali ci facevano presagire – commenta Carlo Mazzoleni, neoeletto presidente della Camera di Commercio di Bergamo -. Va aggiunto che, siccome il blocco produttivo ha interessato un periodo dell’anno a cavallo di due trimestri, la pesante ricaduta economica non è ancora del tutto registrata da queste cifre. Dobbiamo solo guardare avanti e puntare sulle nostre forze per riprendere slancio e ricostruire la fiducia. L’impresa bergamasca può contare su un’elevata propensione all’innovazione e all’apertura ai mercati internazionali, oltre che su una resilienza e una tenacia che storicamente la caratterizzano».

Industria

L’indice della produzione scende dal valore di 106,9 (fine 2019) a quota 96,4 (-9,8 per cento). Si tratta di una diminuzione congiunturale di entità simile a quella registrata a fine 2008, ai tempi del fallimento di Lehman Brothers, e più accentuata di quelle che hanno caratterizzato la crisi del 2011-2012. Il risultato negativo registrato a Bergamo è d’altra parte allineato con la media lombarda.

La crisi ha coinvolto tutti i settori, anche quelli meno colpiti dall’emergenza sanitaria come alimentari, chimica e gomma-plastica. I comparti più penalizzati, sia a livello regionale che provinciale, risultano essere quelli legati al settore della moda (pelli-calzature e abbigliamento), alla filiera dell’edilizia (minerali non metalliferi), alla siderurgia e ai mezzi di trasporto.

Anche il calo registrato dal fatturato delle imprese industriali bergamasche risulta significativo, anche se meno accentuato rispetto a quello dalla produzione: -7,7 per cento su base annua. Ciò può essere parzialmente legato a ordini lavorati prima dell’isolamento. A fronte di un calo della domanda interna, ridottasi del 10,5 per cento su base annua, crescono invece dell’1,7 per cento gli ordinativi dall’estero. La tenuta della domanda estera può essere però imputabile al fatto che negli altri Paesi le misure di contenimento dell’epidemia sono state meno rigide e, soprattutto, sono entrate in vigore successivamente rispetto all’Italia. E’ probabile quindi che l’effetto negativo diventerà evidente nel secondo trimestre del 2020.

Artigianato

La perdita produttiva è ancora più grave nel settore dell’artigianato manifatturiero bergamasco: -14,1 per cento su base tendenziale (la media lombarda è di -12,9 per cento) e un calo del fatturato pari al 15,1 per cento su base annua. Sul fronte della domanda interna la flessione risulta grave ma meno marcata, pari al 9,6 per cento.

Servizi e commercio al dettaglio

Le ricadute economiche dell’epidemia risultano pesanti anche per le imprese bergamasche dei servizi, il cui fatturato registra un calo del 12,1 per cento su base annua. Il risultato è dovuto al crollo registrato dalle attività di alloggio, ristorazione e servizi alla persona, ma anche delle perdite meno rilevanti registrate dal commercio all’ingrosso e, soprattutto, dai servizi alle imprese.

Il commercio al dettaglio mostra il calo più ridotto tra i settori economici analizzati, pur evidenziando anch’esso una perdita di fatturato del 7,2 per cento. Questo settore mostra risultati nei diversi comparti estremamente differenziati: il comparto non alimentare, ad esempio, subisce un forte calo, mentre il comparto non specializzato che comprende la grande distribuzione a prevalenza alimentare registra un incremento significativo.

Occupazione

Per quanto riguarda l’industria non sembra risentire, per il momento, della caduta produttiva, registrando un numero di addetti sostanzialmente stabile. Ciò è frutto dei provvedimenti straordinari messi in campo dall’Esecutivo per consentire alle aziende di conservare la forza lavoro durante la crisi, come dimostrato dalla percentuale di imprese che dichiara di aver fatto ricorso alla cassa integrazione, che passa dal 5-6 per cento del 2019 al 60 per cento.

Anche l’occupazione delle imprese artigiane mostra una sostanziale tenuta. Il 61 per cento delle imprese dichiara di aver fatto ricorso alla cassa integrazione, dopo diversi anni in cui l’utilizzo di questo strumento era risultato del tutto marginale (tra l’1 e il 3 per cento).

Guardando al futuro

La maggior parte delle interviste dell’indagine sono state realizzate nel mese di maggio e le aspettative dichiarate degli imprenditori riflettono quindi la consapevolezza del prolungamento delle misure di contenimento dell’epidemia per buona parte del secondo trimestre: il saldo tra previsioni di crescita e di diminuzione crolla ai minimi storici per tutte le variabili, risultando negativo su produzione (-58,8 per cento), domanda interna (-66,7 per cento) e domanda estera (-52,5 per cento) e attestandosi al -22,1 per cento riguardo l’occupazione.

Anche le previsioni degli imprenditori artigiani fotografano un secondo trimestre ancora più nero: per produzione e domanda interna circa tre imprese su quattro si aspettano un’ulteriore diminuzione, a fronte di un 6-8 per cento che prevede invece un recupero.

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