di Bruno Silini
Una rivalità di sangue sospesa dal Covid. Un’emergenza sanitaria che ha impartito un time-out a secoli di battaglie e di contese, a reciproci sfottò. I centocinquanta passi del ponte tra Sarnico e Paratico in tempi non sospetti sembravano uno spazio infinito, una highway senza soluzione di continuità. Ora quel passaggio sospeso sul Sebino è un simbolo che unisce virtualmente Bergamo e Brescia nel dramma della pandemia. Anche le due tifoserie nemiche hanno firmato la tregua del Covid-19 con uno striscione srotolato lungo il parapetto come a dire che lo stadio e vita non sono la stessa cosa. Se sugli spalti non si risparmiano cori e gesti, in questi mesi col Covid si è stati in trincea insieme a mulinare dolore e sacrificio.
Questo si racconta nel libro “La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia” (Typimedia Editore) scritto da Giuseppe Spatola, vicepresidente dei cronisti lombardi già al Corriere della Sera, inviato di Bresciaoggi e corrispondente lombardo di Agi. Dall’abbraccio simbolico tra Bergamo e Brescia, fino al miracolo laico dell’ospedale da campo, costruito dagli Alpini in appena otto giorni.
Spatola ripercorre i mesi che hanno cambiato la vita di migliaia di persone e in alcuni paesi hanno cancellato un’intera generazione di uomini, donne, nonni e nonne. È un viaggio nell’epicentro della pandemia lombarda, dove il Covid-19 si è portato via cinquemila persone e ne ha contagiate oltre venticinquemila. Al 19 febbraio (data del ricovero di Mattia Maestri, il “paziente uno” di Codogno) i casi di positività a Bergamo sarebbero almeno 91. Dati che non vengono da qualche smanettone social bensì dai report di 16 ricercatori di università, Agenzia tutela della salute (Ats) e aziende sanitarie che hanno pubblicato la prima caratterizzazione epidemiologica della diffusione del virus in Lombardia. Un lavoro consultabile su ArXiv e coordinato da Danilo Cereda, della direzione generale Welfare della Regione Lombardia, insieme a Francesca Rovida, della fondazione Irccs del policlinico San Matteo di Pavia e Marcello Tirani, dell’Agenzia di tutela della salute di Pavia. «Come dire – scrive Spatola – che il “paziente zero” in Lombardia va ricercato proprio tra Brescia e Bergamo e che quelli individuati nel cluster di Codogno, dal 20 febbraio in poi, per i ricercatori sono l’equivalente del “paziente 300”».
Il primo malato accertato di Covid-19 in Bergamasca accusa i primi sintomi tra il 15 e il 25 gennaio a Curno. In questo momento il virus non corre e il numero degli inconsapevoli contagiati fantasma sale pian piano fino a insinuarsi lentamente nel nostra routine. Dal 25 gennaio al 5 febbraio i paesi “infettati” nella provincia di Bergamo sono cinque: oltre a Curno, ci sono Gazzaniga, Ponte Nossa, San Giovanni Bianco e Alzano dove si contano almeno cinque casi di persone contagiate. Ma il virus non si ferma né si accontenta, iniziando ad accelerare e conquistando metri, paesi e malati. In dieci giorni, tra il 5 e il 15 febbraio, il cluster si insinua prepotentemente nei paesi della bassa Val Seriana. Tutto mentre nulla si sa della presenza del virus in Italia.