Attriti con la comunità ebraica

Il mistero dei conti svizzeri e degli ebrei morti nella Shoah

Il mistero dei conti svizzeri e degli ebrei morti nella Shoah
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Sono diverse migliaia i conti bancari svizzeri che non vengono toccati da poco più di sessant’anni. Nessun deposito, nessun prelievo, niente di niente. Una situazione piuttosto strana, che oltre al prurito della curiosità fa sorgere un drammatico dubbio: e se si trattasse di conti intestati ad ebrei sterminati nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale? Molte cose combacerebbero, a ben pensarci: il periodo di inattività bancaria è quello giusto, e moltissimi ebrei, svizzeri o stranieri, nell’arco della prima metà del Novecento decisero di depositare il loro denaro presso istituti elvetici.

 

 

Le smentite. D’altra parte, solo verso la fine degli anni Novanta ai parenti delle vittime dei campi di concentramento venne finalmente data la possibilità di ottenere gli averi dei cari defunti da parte delle banche svizzere. Solo al termine di un infinito braccio di ferro fra istituti di credito e Congresso Ebraico Mondiale si giunse alla soluzione della vicenda, e non è improbabile che intanto di molti conti sia stata dimenticata persino l’esistenza. Quel miliardo e 200 milioni di euro che le banche elvetiche restituirono ai parenti delle vittime della Shoah, dunque, potrebbero essere solo una parte dell’ammontare complessivo.

Solo supposizioni? È pur vero che, per il momento, si tratta soltanto di supposizioni, come dichiarato apertamente dalla Associazione Svizzera dei Banchiere, la quale dalle pagine del settimanale tedesco Welt am Sonntag ha precisato che non esiste alcuna prova che colleghi i conti “dormienti” (così vengono definiti) e le stragi perpetrate negli anni dei nazionalsocialismi. Non solo: Paolo Bernasconi, politico elvetico, ha sottolineato come, ancora diversi anni fa, Paul Volker, presidente della Federal Reserve statunitense, abbia passato al setaccio ogni carta e ogni documento relativo ai conti svizzeri intestati ad ebrei, ritenendo alla fine che questi ultimi fossero definitivamente stati rintracciati tutti.

 

 

Ma il dubbio rimane. Ma se è così certo che di conti dormienti intestati ad ebrei deceduti durante la Shoah non ce ne siano più, perché la questione è riemersa così prepotentemente? La risposta è facilmente ottenibile scorrendo i provvedimenti legislativi svizzeri degli ultimi mesi: a gennaio, infatti, è entrata in vigore una modifica alla legge federale elvetica sulle banche, che prevede una procedura di protezione dei conti dormienti. Gli istituti di credito, secondo il dettato della nuova legge, devono far sapere dell’esistenza di questi conti, cosicché i relativi aventi diritto possano riscuotere quanto dovuto. Le banche, quindi, riveleranno tutto. A questo punto, data l’improbabilità del fatto che un qualche cittadino si dimentichi per decenni di avere grosse somme di denaro depositate in banca, l’unica risposta plausibile è che si tratti di conti i cui proprietari sono morti.

Il precedente. La Svizzera, d’altra parte, ha ora molta accortezza di fronte a questa vicenda. Le forti tensioni con la comunità ebraica internazionale che hanno trovato requie solo a cinquant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale consigliano tuttora cautela, specie in seguito alla triste richiesta che tempo fa una donna ebrea fece a proposito di un conto di un parente defunto; alla domanda da parte della banca elvetica di un certificato di morte, la risposta fu caustica: «Nei campi di sterminio non li rilasciavano». Fu l’episodio che scatenò il duro faccia a faccia fra comunità ebraica e banche svizzere. Che, a quanto pare, è destinato a scrivere ancora diversi capitoli.

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