Preparava il concerto "Smile Jamaica"

Il misterioso attentato a Bob Marley Chi tentò di ucciderlo quella notte?

Il misterioso attentato a Bob Marley Chi tentò di ucciderlo quella notte?
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La Giamaica tutta reggae, marijuana e pacifismo è solo l’immagine che il mondo tendenzialmente si fa di quell’isoletta caraibica, dal momento che la sua storia, fra note soul, boccate di cannabis e trecce rasta nasconde anche decenni di tanta, tantissima violenza. È quanto Marlon James sbatte in faccia, senza nemmeno avvisare, a tutti i lettori con il suo ultimo libro, Breve storia di sette omicidi. È un’opera fresca di stampa, ma già popolarissima e pure molto apprezzata, tanto da essere stata inserita nella shortlist del Man Booker Prize, il più importante riconoscimento letterario e giornalistico del mondo anglosassone insieme al Premio Pulitzer. La fortuna di questo libro è dovuta sì ad una narrazione avvincente, brillante, cruda e realistica, ma per buona parte anche all’affondo circa una storia di cui in Giamaica non piace molto parlare, un po’ perché se ne sa pochissimo, un po’ perché riguarda l’uomo più celebre che mai sia nato sull’isola: Bob Marley. Si tratta di quella misteriosa sera del 1976 in cui alcuni criminali penetrarono in casa del Cantante (con antonomasica lettera maiuscola, come vuole James) e tentarono di uccidere tutti i presenti.

 

https://youtu.be/_i-gcWdBUb8

 

La Giamaica degli anni Settanta: grande caos e Bob Marley. Nel 1962 la Giamaica ottenne piena indipendenza dal Regno Unito, ma fece fatica: non si dimostrò subito capace di gestire autonomamente una realtà sociale ed economica complessa come può essere quella di un Paese che non aveva ancora mai assaporato del tutto la parola libertà. L’economica era allo sfascio, tanto che il Fondo monetario internazionale fu costretto, forse non con particolare sagacia, ad imporre misure d’austerità a Kingston; da un punto di vista politico, il Primo Ministro Michael Manley era inviso a buona parte dei grandi del mondo, data la sua forte inclinazione socialista e la fortissima simpatia nutrita nei confronti di Fidel Castro. Riflesso di tutto questo era una vita sociale completamente nel caos: le città erano in mano alle bande criminali, che ne facevano i teatri dei loro sanguinosi scontri, lo spaccio di droga dilagava, nulla e nessuno era al sicuro. Solo su un punto erano tutti d’accordo: Bob Marley. Portavoce indiscusso della rivoluzione rastafari, Bob nel 1975 era divenuto una star di livello internazionale, grazie al popolarissimo singolo No woman no cry, e i giamaicani vedevano in lui l’icona da adorare nel tentativo di trovare un briciolo di pace. Ma c’era qualcuno a cui Marley proprio non andava giù. Chi? È un mistero tutt’oggi.

 

 

L’attentato. La sera del 2 dicembre del 1976, Bob Marley si trovava a casa propria, insieme alla moglie, al proprio manager e a qualche amico, probabilmente intento a limare gli ultimi dettagli della partecipazione allo “Smile Jamaica”, un concerto organizzato proprio dal Primo Ministro Manley e che si sarebbe tenuto tre giorni dopo. L’idea di Manley era quella di organizzare un momento di tregua fra le forze sociali e politiche che in quel periodo si davano così aspra battaglia, in vista delle elezioni del mese successivo; e chi meglio di Bob Marley e della sua musica poteva rappresentare un punto di unione collettiva e di riappacificazione? A casa con i suoi più intimi, dicevamo: improvvisamente, sette uomini incappucciati irrompono nell’abitazione, e sparano all’impazzata sui presenti, per poi darsi alla fuga. Ma forse per scarsa mira o forse per inconscio senso di colpa nel colpire una leggenda come Marley, nessuno morì: la moglie Rita e il manager Don Taylor furono i feriti più gravi, ma senza alcun tipo di danno permanente; Bob venne solo sfiorato al petto e al braccio: tanto sangue, ma nulla di troppo allarmante. Chi fossero quegli attentatori è ancora oggi un grande mistero. Con ogni probabilità, si trattò di avversari politici di Manley, che intendevano sabotare nella maniera più incisiva possibile il suo evento.

 

 

"Smile Jamaica". Nonostante la tragedia sfiorata, Bob, per quanto gli fosse stato consigliato un periodo di riposo, decise comunque di partecipare al concerto, e si presentò sul palco con le dovute fasciature e forse ancor più motivato di quanto già non lo fosse. Alla fine dell’esibizione, per quanto si fosse tentato di tacerla, la notizia aveva già fatto il giro della Giamaica, e un cronista chiese a Bob come mai avesse comunque deciso di presentarsi allo "Smile Jamaica"; e Marley rispose: «Le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si prendono un giorno libero, come potrei farlo io?» Quella notte del 2 dicembre 1976 Bob Marley poteva forse addirittura accrescere la sua aurea, divenendo persino un martire. Ma la storia andò diversamente, e come dice un famoso proverbio giamaicano «Se non è andata così, ci è andata vicino». Così vicino che Marlon Jones ha deciso di scriverci un libro, che se siete appassionati di reggae, Bob Marley e Giamaica è davvero quello che fa per voi (Marlon Jones, Breve storia di sette omicidi, ed. Frassinelli, 708 pp., 24.50 euro).

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