Tra Siviglia e Santo Domingo

Il mistero della tomba di Colombo (e tutte le sue altre disavventure)

Il mistero della tomba di Colombo (e tutte le sue altre disavventure)
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Cristoforo Colombo, l’uomo che scoprì le Americhe mentre cercava di trovare una nuova via verso le Indie Orientali, continua ad offrirci una messe di quesiti insoluti. Innanzitutto, noialtri si pensava che le sue origini fossero pacifiche e genuinamente genovesi; invece no, perché pare che i cugini spagnoli e i cugini di secondo grado portoghesi abbiano avanzato l’ipotesi che il buon Colombo, o Colòn, fosse delle loro parti. Poi, si è aggiunto il mistero di che fine abbiano fatto i relitti delle sue tre caravelle, questione di cui ci siamo già occupati qui. Infine, c’è il grande busillis riguardante il suo luogo di sepoltura, aspetto che ci piace affrontare oggi.

 

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Da Palos a San Salvador. Per ricostruire la vicenda della morte di Colombo, è necessario partire da lontano, cioè dalla sua prima impresa verso il Nuovo Mondo. Nel 1492, il quarantenne Cristoforo, non più marinaio di primo pelo, si rivolse a Sua Altezza il re di Portogallo, Giovanni II, per offrirgli i suoi servigi in qualità di esploratore di una nuova rotta verso l’Asia. Colombo aveva infatti sviluppato la convinzione che fosse possibile raggiungere il continente orientale anche attraverso l’Oceano Atlantico, essendo la Terra rotonda. Ma il sovrano portoghese trovò l’idea del marinaio italiano (o spagnolo? O portoghese?) alquanto bizzarra e lo congedò con un diniego.

Il buon Cristoforo non desistette e si recò allora presso la corte dei re di Castiglia e di Aragona, la “coppia d’oro” del Quattrocento: Ferdinando e Isabella. Qui l’accoglienza fu di tutt’altro genere e Colombo ebbe le sue navi e il suo equipaggio – nonché la promessa di consistenti guadagni dagli eventuali scambi commerciali che sarebbero derivati dalla nuova rotta, e pure la certezza di acquisire il titolo di viceré: Colombo sapeva gestire bene i suoi affari e non mancava certo d’ambizione. Il 3 agosto 1492 salpò dal porto di Palos de la Frontera con la Santa Maria, la Niña e la Pinta e novanta uomini ai suoi comandi, tutti marinai esperti scelti dall’armatore Martin Pinzon. Il 12 ottobre dello stesso anno, Rodrigo de Triana, un marinaio della Pinta, scorse terra: è l’isola che Colombo avrebbe chiamato San Salvador, avamposto del Nuovo Mondo.

 

[Cristoforo Colombo in catene, opera di B. Delisi, 1872]

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Le catene della prigionia di Colombo e la sua triste fine. Al primo viaggio verso le Americhe, ne seguirono altri tre. Furono molto meno fortunati, per Colombo, che si ammalò e a un certo punto fu addirittura ridotto in catene. Durante il terzo viaggio, infatti, scoppiò una rivolta a Santo Domingo, città fondata dal fratello Diego, e in questa occasione pare che Cristoforo avesse avanzato delle pretese eccessive anche per la generosità dei sovrani castigliesi. Colombo, Diego e un tale Bartolomeo furono fatti prigionieri dall’inviato regale Bobadilla e caricati sulla Gorda. Giunti in Spagna, Cristoforo spedì una lettera alla sua protettrice Isabella, la quale ottenne di fare liberare il marinaio, a cui però fu tolto il titolo di viceré.

La prigionia e il trattamento subito indignarono oltremodo Colombo, il quale formulò in questa occasione una richiesta particolare, e cioè che il suo corpo venisse inumato insieme alle catene che lo avevano legato nel suo viaggio di ritorno. Questo dato è confermato dal figlio Fernando, in un’opera che pubblicò a Venezia nel 1571: «Egli aveva preso la decisione di conservare queste catene come delle reliquie, a testimonianza del prezzo che egli aveva ricevuto in cambio dei suoi servigi. Egli le aveva infatti conservate. Io le ho viste qualche tempo dopo nella sua camera, dove le aveva appese ed egli aveva inoltre disposto che le stesse fossero deposte nel suo sepolcro».

Ed ecco che, con la parola “sepolcro”, ci avviciniamo al nocciolo della questione. Con l’inizio del Cinquecento, il vecchio Colombo, stanco e malato, decise di restare nel Regno di Castiglia. Continuò a brigare per riottenere il titolo che gli era stato tolto, a suo avviso ingiustamente, e tanto fece che alla fine re Fernando (Isabella era morta da tempo) cedette, se non altro per sfinimento: Colombo ebbe Carrion de los Condes, ma la concessione non soddisfece l’avido marinaio, che così morì inappagato e amareggiato a Valladolid, il 20 maggio 1506, per un attacco di cuore.

 

[La tomba con catafalco a Siviglia]

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Un riposo senza pace. Cristoforo Colombo aveva disposto nelle sue ultime volontà di essere sepolto in America, ma venne accontentato solo molto tempo dopo la sua morte. Inizialmente, infatti, fu inumato nella cripta di un monastero a La Cartuja e, nel 1509, fu trasferito nella cattedrale di Siviglia. Nel 1537, finalmente, le spoglie di Cristoforo e quelle del fratello Diego furono portate a Hispaniola, nella cattedrale di Santo Domingo. I resti dello scopritore del Nuovo Mondo, però, erano destinati a non avere pace. Nel 1795 i soliti maneggi politici portarono la Spagna a cedere Santo Domingo ai francesi, ma per impedire che i resti di Colombo finissero nelle mani della gente d’Oltralpe, gli spagnoli provvidero a trasportarli a L’Avana e, nel 1898, di nuovo a Siviglia, all’interno di un maestoso catafalco nella cattedrale della città.

La storia sembrerebbe essersi conclusa: dopo un lungo peregrinare, le ossa del marinaio sono tornate nel Vecchio Mondo, esattamente dove Colombo non avrebbe voluto riposare. Ma è a questo punto che sorge il mistero che avvolge la tomba del navigatore. Nel 1877, infatti, dei lavori di restauro nella cattedrale di Santo Domingo riportarono alla luce una cassa di piombo recante la scritta “Cristobal Colòn”. Ci si era tutti sbagliati, dunque? Colombo non se n’era mai andato dalla sua Santo Domingo e gli spagnoli erano stati gabbati con i resti di qualcun altro, magari proprio del fratello Diego? I dominicani non avevano dubbi. Nel 1992, in occasione del 500esimo anniversario della scoperta delle Americhe, i resti furono traslati nel Faro di Colombo, enorme monumento eretto per l’occasione.

 

[Faro di Colombo, Repubblica Dominicana]

Lighthouse of Christopher Columbus Monument, Dominican Republic

 

Le ultime scoperte (ma il mistero resta). Gli Spagnoli, però, non erano proprio persuasi che quelli fossero veramente i resti di Colombo, e così chiesero ad alcuni esperti, genetisti e storici, di approfondire la questione. Nel 2003 Antonio Morente ha confrontato il DNA delle ossa del Colombo sivigliano con quelle che, senz’ombra di dubbio, sono del fratello Diego, la cui tomba si trova nel sud del Paese. Si è scoperto che la corrispondenza tra i due DNA è assoluta, ragion per cui si è potuto inferire che i resti nel sarcofago di Siviglia sono veramente quelli del marinaio.

Marcial Castro, storico e coordinatore del progetto, ha chiesto ai colleghi dominicani di procedere ad una verifica dei loro resti, poiché non è affatto da escludere che, durante i numerosi trasferimenti subiti dalla povera salma, qualche pezzo sia rimasto anche nell’isola caraibica. Juan Bautista Mieses, direttore del Faro di Colombo (Columbus Lighthouse), ha però opposto un netto rifiuto. Ad oggi, non sappiamo se a Santo Domingo sia rimasta una parte dei resti di Colombo, né sappiamo dove siano finite le famose catene insieme a cui il navigatore voleva farsi seppellire. La questione rimarrà aperta, almeno fino a quando le autorità dell’isola caraibica non decideranno di dare il via ad analisi approfondite.

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